La democrazia sradicata di An

E’ una semplificazione fuorviante ridurre Alleanza nazionale sia a una destra fascista sia a una destra neoliberista. An è un avversario non tradizionale, e in continua trasformazione. Senza ormai nessun rapporto con l’Italia di Mussolini, ma ben lontana dall’essere costituzionalizzata dalla palingenesi di Fiuggi (il congresso di fondazione), il partito di Gianfranco Fini costituisce uno degli elementi di fragilità della democrazia italiana. Dunque una destra per certi versi più insidiosa e inquietante di una destra fascista.
A differenza dei protagonisti della cosiddetta Prima Repubblica, il Msi-An non solo sopravvive alla sua fine, ma accede senza fatica alla guida della transizione italiana come attore legittimo e decisivo. Si tratta di confrontarsi con la crisi della democrazia, e simultaneamente con la catastrofe politica e morale delle classi dirigenti italiane, rileva giustamente Roger Griffin, lo storico inglese già noto per i suoi studi sul fascismo. Paradossalmente l’operazione An occupa il vuoto identitario e simbolico creato da Mani Pulite, proprio in ragione della sua estraneità al sistema politico e di governo della democrazia repubblicana.
Attacco alla partitocrazia, primato della governabilità, evocazione della democrazia plebiscitaria e presidenzialismo come soluzione alla crisi della rappresentanza, “rigenerazione” della comunità nazionale (secondo caratteri che richiamano il concetto di Stato etico), parlano di una evoluzione politica del Msi nel dopo ’89 in cui non è più in questione il sistema democratico, bensì la sua trasformazione. A Fiuggi An rigenera il nucleo costitutivo della cultura politica di matrice fascista, e crea una nuova ideologia capace di combinare “l’utopia post-liberale” con l’accettazione delle regole del gioco democratico. Una scelta strategica che aveva già superato l’onere della prova sia alle elezioni politiche del ’94, sia con l’ingresso al governo grazie al Polo delle libertà.
A Fiuggi dunque non sembra più necessaria una ideologia e una prassi che delegittimi il sistema democratico-rappresentativo, tipica secondo le analisi di Piero Ignazi dei partiti di estrema destra post-industriale, perché essa è già passata con la prova del voto attraverso le istituzioni e le procedure democratiche.
Una ex destra antisistema può senza alcun impedimento e senza rinunce incarnare questo nuovo ideale democratico soltanto se riferisce questa svolta a una rottura epocale, quale può considerarsi la fine di Yalta, cioè della divisione del mondo uscito dalla seconda guerra mondiale. Infatti il protagonismo di An nella transizione della democrazia italiana avviene tramite la rimozione della matrice antifascista della democrazia repubblicana, e con una perentoria dichiarazione di inattualità del progetto politico e sociale e dei fondamenti culturali dell’antifascismo. Fini può dichiarare che l’antifascismo ha svolto un ruolo “essenziale” nella storia d’Italia – pur sottolineando la sua incompatibilità con l’antifascismo comunista che condividerebbe con il nazismo teoria e pratica del totalitarismo – a condizione di accomunare in un unico destino fascismo storico e antifascismo.
E’ questo un punto centrale nella valutazione della “trasformazione” del Msi in An. La “revisione” del giudizio sul fascismo e sull’antifascismo, l’assunzione del fascismo e del nazismo con il comunismo sotto l’unica categoria del totalitarismo, l’identificazione della fine del mondo bipolare con la critica retrospettiva dell’ alleanza antifascista vincitrice della seconda guerra mondiale, è un processo culturale diffuso, che coinvolge anche aree ampie della cultura democratica e di sinistra. Fini tuttavia volge tutto questo strumentalmente verso uno sradicamento dell’antifascismo dal cuore della democrazia repubblicana, e soprattutto verso una sua completa delegittimazione come forza di trasformazione della democrazia italiana. E’ la partecipazione alla Bicamerale, ovvero la scelta di tentare dall’interno dei meccanismi offerti dal sistema democratico di modificare i principi costituzionali, che mostra i contenuti della funzione attuale di An. Essi hanno a che fare con questa idea di democrazia liberata dalla storia e dalla memoria collettiva.
La evoluzione “democratico-conservatrice” che alcuni attribuiscono alla volontà politica della destra italiana assume pertanto un senso diverso: non segnala l’approdo di An a un sistema liberal-democratico arricchito da quei principi fondamentali propri delle Costituzioni europee del dopoguerra, ma la sintonia tra la qualità del progetto politico-istituzionale di An e l’impoverimento della democrazia italiana in transizione. Il programma economico di Napoli lo testimonia. Qui per la prima volta Fiuggi ’95 e Verona ’98 (le tappe di quel progetto politico che sin dalle origini si configura in contrapposizione al sistema dei partiti, e come via d’uscita alternativa a quella della Lega) si fondono in un partito di programma che ha al suo centro l’Italia globale come simbolo di una nuova coscienza nazionale finalizzata alla competizione di mercato.
Questa operazione però non prefigura An come variante di una destra liberista. Al contrario, Fini subordina il liberismo al suo progetto di società. In altre parole egli abbandona un patrimonio morto e irrecuperabile, l’eredità statalista, protezionista, centralista, corporativa del tradizionale pensiero economico nazionalista e fascista solo per entrare in sintonia con le soluzioni culturali, istituzionali, politiche del comunitarismo organicistico e autoritario delle destre europee attuali. E all’appuntamento del 13 maggio An giunge pronta e attrezzata a rispondere alle trasformazioni contemporanee della relazione tra economia e politica, fra capitalismo e democrazia nelle forme proprie della rivoluzione conservatrice. Morte del cittadino ideologico (proletario, borghese, antifascista, anticomunista, clericale, laicista) e nascita di un nuovo uomo, il cittadino-patriota (reminiscenza di chiara ispirazione nazionalista e fascista); italianità, ineguaglianza naturale, integralismo cattolico, autonomia delle libere associazioni al posto dei partiti e dei sindacati definiscono l’Eroe liberista del nuovo secolo. La rivoluzione culturale delle giovani leve di An si colloca dunque nel solco della “Rivoluzione blu”, quella di matrice reaganiana/thatcheriana (oggi nella versione rinnovata e vincente di Bush) che ha l’ambizione di rovesciare la cultura europea e di dissolvere il carattere democratico e operare una trasformazione delle stesse forze conservatrici del vecchio continente.