La delusione del continente in lotta contro la povertà

Erano molti i papabili della vigilia, tutti conservatori nella dottrina ma vicini ai problemi sociali degli ultimi
Per conto di Wojtyla Ratzinger è stato l’uomo della restaurazione e delle epurazioni contro la teologia della liberazione e la chiesa popolare

A meno che non ci abbia voluto riservare delle sorprese, lo spirito santo questa volta l’ha fatta grossa. La nomina del Torquemada di Wojtyla è uno schiaffo per l’America latina. Per i cattolici (e non solo loro), ma anche per la gerarchia cattolica. Che sperava fosse venuto il tempo del primo papa latino-americano, che facesse della guerra alla povertà la sua crociata come il papa polacco aveva fatto con il comunismo. Si faceva un gran parlare, dopo la morte di Wojtyla, delle forti chances dei papabili dell’America latina. Candidati con i favori del pronostico, come il brasiliano Hummes, l’honduregno Maradiaga, l’argentino Bergoglio, il messicano Rivera Carrera, i colombiani Castrillon e Lopez Trujillo. Outsiders come il cileno Errazuriz, il dominicano Lopez Rodriguez, il cubano Ortega. Gente sicura, senza i grilli della teologia della liberazione per il capo. Tutti nominati da Wojtyla nel corso dello spietato repulisti dell’America latina. Tutti conservatori in materia di dottrina e di dogma, anche se tutti o quasi sensibili in materia sociale.

Invece no. E’ stato Ratzinger a fregiarsi del titolo di Benedetto XVI. L’uomo della restaurazione dottrinale e autoritaria, il guardiano del dogma da cui sono dovuti passare gli spiriti inquieti e eterodossi – quelli più evangelici e vicini alle tematiche della giustizia sociale – del cattolicesimo latino-americano. A cominciare dal teologo brasiliano Leonardo Boff, che nell’85 fu torchiato – fortunatamente per lui solo intellettualmente – proprio da Ratzinger nella sua qualità di responsabile del Sant’Uffizio, e poi condannato all’«ossequioso silenzio» e costretto a lasciare la congregazione dei francescani. O il teologo peruviano Gustavo Gutierrez che è rimasto dentro la chiesa ma al prezzo – pari al silenzio – di passare i suoi scritti al vaglio ostile dell’arcivescovo di Lima, Luis Cipriani, uomo dell’Opus Dei nominato cardinale da Wojtyla in una delle ultime infornate. Ratzinger è sempre stato il braccio destro del papa polacco in tutte le purghe ed epurazioni via via operate per sradicare la mala pianta della teologia della liberazione che fioriva in America latina quando Giovanni Paolo II vi mise piede per la prima volta sul finire del `78, a Puebla , in Messico.

Tutti andati a sbattere, prima o poi, contro la gelida ortodossia di Ratzinger: dal vescovo chiapaneco Samul Ruiz al vescovo di Olinda Helder Camara, dal cardinale brasiliano Paulo Evaristo Arns al padre-ministro sandinista Ernesto Cardenal, dal vescovo catalano-brasiliano Pere Casaldiga a molti gesuiti.

In quegli anni di fuoco, quando Wojtyla aveva stretto un’alleanza informale ma stretta con il presidente Ronald Reagan per combattere anche in Centramerica «la minaccia comunista», altri preti – e suore – pagarono ancor più caro. Con la tortura e con la vita. Come monsignor Arnulfo Romero, il vescovo (conservatore ma non cieco né assatanato) di San Salvador, assassinato dagli squadroni della morte nell’80. O i 5 sacerdoti del Salvador assassinati fra il `77 e il `79, per i quali Romero era andato a Roma pochi prima di essere ucciso per chiedere un intervento esplicito del papa (che non ci fu). O le 4 suore statunitensi uccise quell’anno. I 23 sacerdoti assassinati in Guatemala fra l’80 e l’85. I sei gesuiti dell’Università di El Salvador uccisi nell’89. Fra le centinaia di santi e beati proclamati da Wojtyla e dal suo guardiano delle fede Ratzinger, preti martiri dei «rossi» nella guerra di Spagna o dei «comunisti» nell’Est europeo, non troverete nessuno di loro.

Wojtyla e Ratzinger in America latina hanno diviso la chiesa cattolica in due chiese sempre meno conciliabili fra loro: la chiesa ufficiale e quella popolare.

In realtà il papa polacco e il suo pastore tedesco, privilegiando i problemi della evangelizzazione su quelli sociali, castigando le Comunità ecclesiali di base e puntando sui movimenti carismatici di rinnovamento, colpendo i gesuiti e dando via libera all’Opus Dei e ai Legionari di Cristo (e in qualche caso Comunione e liberazione) hanno provocato un gravissimo danno alla chiesa del continente della speranza. Il discredito e il vuoto lasciato dalla chiesa dei poveri è stato riempito rapidamente dall’arma più poderosa di cui dispongono gli Stati uniti in America latina: le sètte chiamate pentecostali. Che oggi mangiano fette sostanziose di cattolici – un milione l’anno solo in Brasile – e diffondono un’ideologia individualista-fondamentalista a sfondo miracolistico. Se l’America latina continua a contare metà del miliardo di cattolici del mondo, è un fatto che 50 anni fa più del 90% dei latino-americani si dicevano cattolici, ora il 15-20% è passato alle sètte pentecostali. Salvo un colpo dello spirito santo, sarà difficile per Benedetto XVI fermare questa deriva.