La debolezza delle primarie

Negli Usa sono vere, qui sembrano un artificio

Le primarie dovrebbero limitare il potere dei partiti, ma vi concorrono i segretari di quattro dei nove partiti dell’Unione. Dovrebbero servire a designare all’esterno un candidato; in questo caso, il candidato c’è, e vuole le primarie per rafforzarsi all’interno della coalizione. Servono – secondo il regolamento – ad affidare al candidato la responsabilità del programma, ma, intanto, si svolgono tra concorrenti senza programma (salvo credere alla storia per cui essi definiscono le priorità nell’ambito di quel calderone che si chiama «progetto dell’Unione»). Insomma, queste primarie, magnificate come «grandissimo esempio di democrazia», «straordinario evento democratico», «esplosione della democrazia», appaiono un artificio.
Le primarie – quelle vere – si fanno negli Stati Uniti per scegliere i candidati alla presidenza. Ma.lì alle primarie non si sceglie il candidato, ben si delegati che, riuniti in convenzioni, scelgono il candidato. Le primarie americane sono lo strumento di polarizzazione di un sistema che tenderebbe tutto al centro. La necessità di mantenere l’appoggio che ciascun candidato ha ottenuto, con le primarie, nel suo partito, evita il collasso verso la zona mediana, che sarebbe prodotto dalla ricerca del centro propria dei sistemi bipartitici. In Italia, le primarie servono a uno scopo opposto, perché introducono una logica «monarchica» in un bipolarismo di coalizione. Negli Stati Uniti, le primarie sono la prima tappa per le elezioni presidenziali. In Italia, servono a indicare un candidato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Dunque, innestano un meccanismo tipico del presidenzialismo in un sistema parlamentare.
Se le primarie italiane si chiamano come quelle americane, ma sono cosa ben diversa da esse, perché, dunque, vi si è ricorsi? E perché il candidato ha bisogno di rafforzare la sua posizione all’interno della sua coalizione? La spiegazione sta nel timore che l’«azionista di maggioranza» del governo possa chiedere, un giorno, di assumerne direttamente la gestione o che l’«azionista di minoranza» marginale possa, un giorno, minacciare di uscire dalla coalizione, facendo cadere il governo. Insomma, le primarie sono suggerite dalle delusioni del passato, non dalla prospettazione del futuro.
Se questo è il loro vero scopo, è ragionevole chiedersi se le primarie servano davvero o non siano, invece, una protezione di cartone. In altre parole, primarie alle
quali si presentano segretari di partito sono davvero il crogiuolo nel quale possano fondersi le diverse parti della coalizione? Un mandato personale riuscirà a imporsi a quello dei partiti? Come ci si assicura che chi perde accetti il candidato vincente? E il candidato vincente, responsabile della elabo: razione del programma, non deve avere «cura di consultare e coinvolgere tutte le componenti dell’Unione», come dispone il Regolamento delle primarie? Le primarie, infine, possono supplire al «deficit» di capacità federativa necessaria per mantenere in piedi una coalizione (che si definisce l’Unione, ma appare, per ora, in assenza di un programma, un condominio sempre pronto a dividersi)?
In conclusione, queste primarie non mi paiono tanto una prova di democrazia, quanto una prova di debolezza.