«Loro sono in grado di massacrare tutti i nostri quadri periferici con pochi uomini». La data è il 3 dicembre 1947: parla Giuseppe Dossetti, leader della sinistra interna alla Dc, e «loro» sono i comunisti. Basta questa frase, tratta da un verbale della direzione democristiana riportato alla luce dal giovane studioso Emanuele Bernardi, per rendere il clima rovente dell’Italia di allora. Il documento appare su Ventunesimo Secolo insieme ad altre carte d’archivio riguardanti il modo in cui la Dc valutava, nell’immediato dopoguerra, il pericolo di un’insurrezione comunista. Ne emerge che i dirigenti dello Scudo crociato prendevano molto sul serio la minaccia e si preparavano ad affrontarla con le armi. La questione venne posta in due fasi diverse: nel dicembre 1947, quando era imminente il ritiro dall’Italia delle truppe americane; poi nell’estate 1950, subito dopo lo scoppio della guerra di Corea.
Ne esce smentita, nota lo storico Piero Craveri, l’idea che «il voto della Costituzione repubblicana chiudesse in tutto la partita aperta con la Liberazione, fosse uno stabile ed irreversibile approdo per tutti alla vita democratica»: in realtà l’approvazione della Carta fondamentale non segnò «un patto, ma un armistizio», che non escludeva affatto un successivo ricorso alla violenza. Il Pci, sostiene Craveri, disponeva di un vasto apparato militare, pronto ad agire nel caso in cui i sovietici avessero scelto lo scontro con l’Occidente. Fu Stalin, in quella fase, a bocciare l’ipotesi insurrezionale, raffreddando gli ardori di Pietro Secchia e confortando la linea cauta di Palmiro Togliatti.
Nel frattempo la Dc non stava con le mani in mano. Nel timore che il ritiro americano inducesse i comunisti a tentare un colpo di forza, fu avviata la costituzione di gruppi paramilitari (una sorta di «Gladio bianca») sulla base delle formazioni partigiane moderate che, come quelle «rosse», non avevano consegnato le armi. E si decise di coordinare l’iniziativa con il piano anti-insurrezionale predisposto dal ministro dell’Interno, Mario Scelba. Mentre si avvicinava il voto dell’aprile 1948, nota Bernardi, la Dc attuò «una progressiva militarizzazione del partito, aprendosi al sostegno di tutti coloro che ritenevano in pericolo la democrazia, senza alcuna pregiudiziale politica», né verso la destra nostalgica né verso la massoneria, pur tanto invisa al mondo cattolico.
Difficile dar torto a Craveri quando rimprovera alla storiografia un forte ritardo nel prendere atto di come l’Italia «sia stata a lungo sull’orlo di una possibile guerra civile». I due maggiori partiti si tenevano entrambi pronti a un conflitto cruento, anche se va sottolineato che, mentre i comunisti avevano al loro interno un’anima rivoluzionaria (frenata da Togliatti e da Mosca), i democristiani, come ricorda Bernardi, assegnavano ai loro nuclei armati clandestini, sostenuti anche dagli americani, un compito difensivo.
Il fantasma della guerra civile parve materializzarsi nel luglio 1948, quando l’attentato a Togliatti innescò una sanguinosa sollevazione popolare. Prevalse in quel frangente da ambo le parti il senso di responsabilità, ma non fu la fine della grande paura. Il Pci non smobilitò le sue forze paramilitari. E non lo fece neppure la Dc, al contrario di quanto avrebbe scritto nelle sue memorie il ministro Paolo Emilio Taviani. Successivamente, mentre in Corea si combatteva, il tema tornò al vaglio della direzione democristiana.
Qui, il 18 luglio 1950, si manifestò un dissidio che non era emerso nel 1947. Mentre il «falco» Domenico Ravaioli presentava la questione comunista come un «problema di forza che va risolto in termini di forza», e anche Taviani chiedeva di fare in modo che fosse «tutto pronto» per mettere eventualmente fuorilegge il Pci, il segretario Gonella, sottolinea Bernardi, propose una linea più ottimistica e prudente, convinto che la minaccia si potesse fronteggiare in altro modo.
Quanto a Dossetti, disse che bisognava chiudere con l’esperienza dei gruppi armati di partito e confidare nelle forze dello Stato, ormai in grado di garantire l’ordine pubblico. Due anni e mezzo non erano passati invano e il pericolo di una «notte di San Bartolomeo» ai danni della Dc appariva ormai remoto anche a colui che aveva a suo tempo lanciato l’allarme. Dossetti era nel giusto, ma certo la democrazia italiana l’aveva scampata bella.
Introdotti da due saggi di Piero Craveri ed Emanuele Bernardi, i documenti della direzione democristiana sul pericolo di un’insurrezione comunista, provenienti dall’archivio dell’Istituto Sturzo, escono sul nuovo numero (in uscita a metà luglio) di «Ventunesimo Secolo», la rivista dell’editore Rubbettino diretta da Gaetano Quagliariello e Victor Zaslavsky. Il fascicolo comprende anche un dossier sulla figura di Mikhail Gorbaciov, con un articolo dello storico Vladislav Zubok e un dibattito a tre voci con Adriano Guerra, Vittorio Strada e Victor Zaslavsky.