La cultura rischia di morire. Unione, non tradire il programma

E’ difficile abituarsi all’indifferenza della politica per i problemi della cultura e della conoscenza. E parlo del centro-sinistra, ovviamente, perché il governo Berlusconi non solo non è stato indifferente, ma era talmente consapevole dell’importanza strategica della cultura che ha messo in atto politiche tali da ridurre la nostra produzione culturale quasi in fin di vita.
Eppure una speranza si era aperta. Per la prima volta credo nella storia di questo paese nella costruzione collettiva di un programma elettorale è stato istituito addirittura un “tavolo” per l’elaborazione di una politica per la cultura. E per la prima volta ci si è aperti al mondo dei “beni e delle attività culturali” proprio per costruire insieme una piattaforma programmatica in grado di risolvere i problemi drammatici che affliggono questi settori.

Di quel tavolo ho fatto parte a nome di Rifondazione comunista, quindi so bene le difficoltà incontrate, le divergenze importanti con alcune forze politiche, le battaglie condotte. Ma so anche che il risultato raggiunto è un risultato importante. Un terreno avanzato sul quale poter impostare una buona politica per la cultura.

Eppure i primi segnali del nuovo governo sono a mio parere perlomeno preoccupanti.

Preoccupante è il silenzio generale su questi temi. Di tutto si è parlato sui giornali in questi giorni, fuorché dei problemi che riguardano quell’insignificante dettaglio che è la vita e il lavoro di centinaia di migliaia di persone. E che riguardano quell’altro insignificante dettaglio che è la formazione della coscienza degli individui, la salvaguardia dell’identità e della memoria di un paese, la capacità di leggere criticamente il mondo. Magari per cambiarlo.

Si discute molto del film di Moretti, in questi giorni. Se cioè Berlusconi sia ancora pericoloso oppure no, e cosa occorre fare perché non lo sia più. Io credo che Berlusconi sia stato sconfitto politicamente ma non culturalmente, credo cioè che più che Berlusconi sia pericoloso il berlusconismo, e che questo sia ancora sostanzialmente in vita.

E preoccupante è il fatto che i tre principali settori della cultura e della conoscenza (scuola, televisione, beni e attività culturali) siano andati tutti a tre ministri di quel partito che più di altri nei tavoli per il programma si è battuto perché la cultura sia considerata una merce come le altre e quindi possa anzi debba essere privatizzata o legata al mercato.

Preoccupante è il fatto che Rutelli abbia nuovamente accorpato, al ministero per i beni e le attività culturali, il turismo, ritornando così indietro di parecchi anni e facendo nascere il sospetto che si voglia di nuovo, per esempio, tutelare, proteggere e valorizzare solo quel patrimonio e quei beni in grado di garantire un utile economico.

Ma la cosa più preoccupante ed allarmante è che l’on. Colasio, della Margherita – che ha partecipato in rappresentanza della Margherita all’elaborazione del programma sulla cultura – abbia presentato in questi giorni una legge sul cinema e sulla televisione che fa piazza pulita non solo di anni di battaglie ma dello stesso programma dell’Unione.

In questa legge si dice che il «nostro cinema, in modo quasi inerziale … si è cullato in una dimensione “autoriale”, nel suo voler essere “cultura”, “espressione artistica”», che è finito il tempo della “musa assistita” ed è invece arrivato il tempo di creare «un unico sistema integrato (cinema e televisione)», di «configurare il settore cinematografico e audiovisivo, in un unicum culturale e imprenditoriale, in termini di sistema di imprese consolidate patrimonialmente». Le opere diventano prodotti, cioè merce, ed è il mercato a regolare tutto. L’intervento pubblico si limita alle opere prime, poi se i tuoi film incassano troverai un produttore che ti finanzia (ovviamente purché fai un film che a sua volta incassa), altrimenti cambi mestiere.

A completare questa tragica proposta legislativa compare – per la prima volta dalla fine del Fascismo, neanche la Democrazia cristiana era mai arrivata a tanto – la censura preventiva: «Non possono essere destinatari di contribuzione di alcun tipo i film che per contenuti, tematiche e/o immagini o sequenze siano in grado di nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita». Perché si sia scelto di dare uno schiaffo così scoperto al programma di governo è allarmante.

Fin qui le preoccupazioni, e non sono poche. Gli aspetti positivi e incoraggianti riguardano invece proprio il fatto che il programma di governo esiste ed è stato firmato da tutti i segretari dei partiti dell’Unione. E’ un impegno pubblico che insieme alle altre forze del centro-sinistra abbiamo preso con l’elettorato e quindi dobbiamo garantire che quel programma sia rispettato e attuato. E allora penso sia utile ricordare alcuni dei punti qualificanti di quel programma.

Lì si afferma che la «cultura, al di là del suo valore economico, è un ambito strategico di investimento pubblico ed un ambito produttivo di alta tecnologia» e che quindi come tale «va riportata al centro del quadrante del paese».

Si ribadisce come «centrale ed irrinunciabile un forte impegno pubblico» nella cultura; ci impegna a reperire le risorse riportando immediatamente gli stanziamenti sia per il Ministero che per il Fus (Fondo unico per lo spettacolo) ai livelli del 2001 e si stabilisce l’obiettivo dell’1% del Pil da destinare alla cultura nel medio-lungo periodo.

Ci si impegna ad elaborare immediatamente leggi di sistema per lo spettacolo dal vivo, riconoscendo ad esso il suo valore fondamentale come motore della crescita collettiva e dando la priorità dei finanziamenti pubblici ai programmi e ai progetti che garantiscano una ricaduta culturale.

Per il cinema, «una delle forme più alte di espressione artistica», che riveste un ruolo «fondamentale per l’identità culturale e storica del paese», ci si impegna a sostituire la legge “Urbani” che ha ridotto la nostra produzione a circa 30 film l’anno, con una nuova normativa che istituisca il Centro nazionale per il cinema, estenda il prelievo di risorse a tutti gli operatori e le imprese che utilizzano il cinema in qualunque forma, rompa l’attuale strozzatura del mercato causata dal duopolio Rai-Medusa con una seria legge antitrust verticale e orizzontale.

Questo il programma in base al quale le forze culturali ci hanno votato, questi gli impegni che queste forze chiedono e pretendono siano mantenuti. Che per loro non esistono più governi amici ci è stato ribadito più volte e in modo chiaro.

Questo programma una forza come Rifondazione deve garantire sia rispettato. Il mondo dei beni culturali, del teatro, della musica, del cinema non ha più tempo, rischia di morire.