La Cub: «Il governo deve dare l’esempio»

La Cub è stata tra le prime organizzazioni sindacali ha organizzare i lavoratori precari, fin dai tempi dei «socialmente utili». Proponiano qui un’intervista con Pierpaolo Leonardi, coordinartore nazionale.
L’origine temporale e legislativa di questo tipo di precarietà.
Nella pubblica amministrazione è attribuibile direttamente al «pacchetto Treu», varato dal vecchio centrosinistra. La «legge 30», qui, praticamente non viene applicata, se non in alcuni casi. Non c’è neppure un accordo con le controparti per applicarla. Un «pacchetto» che è partito in contemporanea con il blocco del turnover e delle assunzioni, ormai da anni. Di fronte al normale invecchiamento della popolazione dei dipendenti pubblici, le esigenze di normale efficienza sono stata affrontate col massiccio ricorso alle forme di precarietà contrattuale.
Secondo i vostri calcoli è un ricorso che riduce i costi per la pubblica amministrazione?
No. Abbiamo dimostrato, conti alla mano, che li aumenta. Chi fa intermediazione di manodopera non lo fa gratis, vuole un riconoscimento economico anche elevato. Molto spesso — specie nella sanità, dove c’è un massiccio ricorso alle «cooperative» per l’assistenza agli anziani o per il normale lavoro di corsia — i lavori che prima venivano svolti dall’interno, una volta appaltati fuori diventano molto più costosi.
Sul piano del trattamento economico, qual’è la situazione media di un precario?
Dipende. Tempi determinati o formazione lavoro hanno un salario equiparabile a quello di un dipendente regolare. Molto diverso per co.co.co. o interinali, ecc, che hanno un salario che non arriva ai 90 euro, con contribuzione più bassa, ecc.
Esistono ancora i co.co.co. nella pubblica amministrazione?
Li hanno trasformati in co.pro.co.. Specie i comuni li utilizzano per assistenza ad anziani, bambini, portatori di handicap, ma anche nel sewttore scolastico.
La Cub-Rdb, per organizzare i precari, non ha costruito una federazione apposita.
Siamo profondamente contrari alla strutturazione «verticale», anche perchè le forme di lavoro in questione sono molto «diffuse» e diverse tra loro. Stiamo lavorando molto sul «sindacato territoriale», che abbia caratteristiche metropolitane o sociali, che abbia le capacità di riaggregare quel che è scomposto sul piano della filiera produttiva. Nella p.a. la situazione è diversa. Abbiamo strutture organizzate per categoria e per posti di lavoro che diventano immediatamente soggetti di relazione con i precari. Per il precariato non strutturato, come il commercio, la ristorazione, difficilmente aggregabili «verticalmente», stiamo accelerando per creare strutture di territorio.
Che tipo di rapporti tra lavoratori stabili e precari da voi organizzati?
Qualche volta c’è conflitto. In particolare in quelle dove si sono bloccati i processi che avevamo contribuito a far partire negli anni ’90, di riqualificazione del personale interno. Abbiamo un tasso di «mansionismo (lavoratori che svolgono mansioni di livello superiore al proprio livello di inquadramento, ndr) altissimo, che avevamo ridotto con corsi e mobilità interne; in modo da far corrispondere mansioni, livello e salario. Un processo spesso bloccato da ricorsi al Tar, ecc, che hanno in qualche modo sancito che il passaggio di livello interno è come un concorso pubblico. L’immissione massiccia di precari da qualche parte viene letta come una possibile saturazione di vuoti di organico che potevano essere coperti in altro modo. Noi manteniamo unita la battaglia per la riqualificazione del personale con quella per l’assunzione dei precari. Crediamo non ci sia contraddizione. E infatti chi fa riferimento a noi testimonia di una grande solidarietà tra «stabili» e «precari». Ciascuno qui ha dei figli in quella condizione. E’ perciò facile spiegare che se hai vicino a te un lavoratore sfruttabile e ricattabile, sei più debole anche tu.
Il vostro obiettivo generale è perciò l’assunzione in pianta stabile.
Stiamo aprendo uno scontro sulla questione dei precari nella pubblica amministrazione non perché questi siano «più belli» degli altri, ma perché qui c’è la responsabilità diretta dello stato, del governo. Sono suoi dipendenti. In campagna elettorale la maggioranza che ha vinto le elezioni ha ripetuto per mesi che battere la precarietà è una priorità. Diciamo a questo governo di cominciare da se stesso, guardare in casa propria e cominciare a metter mano a questo problema.