La crisi, una occasione non scontata per i comunisti

Intervento di Maurizio Musolino in rappresentanza del Pdci- Fds al 12° meeting internazionale dei partiti del lavoro e comunisti (Solidnet), che si è svolto a Johannesburg Sudafrica dal 3 al 5 dicembre 2010

La crisi economica che da mesi strangola le principali economie capitaliste mondiali dimostra giorno dopo giorno di essere nello stesso tempo una crisi sistemica e di sistema. In discussione c’è non solo un riordino della finanza internazionale ma anche uno sviluppo che oggi deve fare i conti con nuovi grandi soggetti, a partire da Cina, India e Brasile. Una crisi quindi che se da una parte può divenire una grossa opportunità per le forze comuniste e progressiste rappresenta parimenti un rischio enorme per le possibili involuzioni democratiche che può far scaturire.

Questo vale anche per quei paesi della Vecchia Europa dove le conquiste e i diritti acquisiti nei decenni precedenti sembravano trincee dalle quali era impossibile tornare indietro. Paesi che sembravano al sicuro da derive autoritarie. Il capitalismo mondiale è impegnato in una sua riorganizzazione che se da una parte si basa sulla vecchia regola di far pagare le crisi a chi già soffre ed è sfruttato da uno sviluppo iniquo e ingiusto dall’altra ha l’ambizione di ridisegnare regole e confini, mettendo in discussione tutti quei diritti figli della stagione di lotte operaie che si è sviluppata negli anni Sessanta e Settanta. L’imperialismo svela così la faccia di sempre: il lavoro deve trasformarsi in una forma di neoschiavitù e il lavoratore deve essere completamente succube alla volontà del padrone-capitalista.

In questa direzione vanno sicuramente letti tutti quei provvedimenti che l’Europa e gli Stati Uniti d’America hanno messo in atto per bloccare i flussi migratori. I migranti vanno bene solo se portano plusvalore con il loro lavoro, e a questo fine il lavoro deve essere completamente deregolamentato e soggetto ai ricatti. Una forma di vera e propria neo schiavismo.

Nell’ottica di ridisegno delle regole del gioco da parte dell’imperialismo va letto anche il tentativo di privare l’opposizione di sinistra di qualsiasi possibilità ad avere visibilità. In Italia sono anni che leggi elettorali liberticide cercano di impedire ai comunisti e alla sinistra di avere una rappresentanza istituzionale. Voglio essere chiaro: sedere in parlamento o nelle amministrazioni locali non può e non deve essere il “fine”, ma è al contrario una condizione per poter avere visibilità e agibilità politica e per dare voce e rappresentanza a quelle istanze del mondo del lavoro e della scuola – per fare solo due esempi – che oggi si vedono completamente abbandonati.

Ma c’è un terzo aspetto che voglio sottolineare e che sta tutto dentro la riorganizzazione del capitale: le strategie geopolitiche. Il capitalismo rimette oggi come ieri al centro del suo programma l’uso dei conflitti come elemento di disgregazione dei popoli e quindi di sottomissione. Questo lo sa bene il continente africano che per decenni si è visto depredare delle ricchezze da un capitalismo aggressivo che grazie a micro conflitti regionali metteva in essere una nuova-antica forma di colonialismo. Anche in altre aree geografiche la strategia del capitale ha lavorato per lo stesso obiettivo e come esempio voglio ricordare l’invasione delle forze imperialiste dell’Iraq e dell’Afghanistan che vede come principale obiettivo delle forze occupanti innanzitutto la disgregazione di quei popoli intesi come stati nazionali. Una forma di neocolonialismo aggressivo è anche l’occupazione sionista della Palestina e a questo proposito voglio ricordare l’importanza di forme di lotta come il boicottaggio culturale ed economico, forme di lotta che proprio qui in Sudafrica hanno dimostrato nei decenni passati tutto il loro valore e la loro efficacia. Il boicottaggio colpisce dove più sensibile è il capitale, ovvero proprio nel mercato.

Tutto questo consegna a noi, ai comunisti, una responsabilità grandissima. La responsabilità di saper declinare il contrasto fra capitale e lavoro in termini moderni ed attuali. Soprattutto la capacità di rendere tutto questo comprensibile al nostro popolo. Abbiamo degli esempi importanti, voglio citare la stagione di conflitti sociali che in Grecia ha visto i compagni del KKE alla guida di imponenti movimenti di lotta. Nello stesso tempo, a questi progetti ci si oppone anche rafforzando quelle esperienze – soprattutto dell’America Latina – che in questi anni sono state vero e proprio ossigeno per il movimento progressista mondiale. Cuba, Venezuela ma anche Brasile sono oggi utili non solo per quei popoli ma per il mondo tutto.

Ed allora concludo affermando che abbiamo davanti una lotta impegnativa, i nostri nemici sono forti e disposti a tutto. Ma è una lotta che vale la pena combattere. Non vogliamo e non possiamo tirarci indietro. Voltare il viso altrove, non opporsi a queste ingiustizie, non combattere l’imperialismo, oggi significherebbe tradire le speranze e le aspettative di tanti uomini e donne. Un tradimento che non ci sarebbe perdonato.