La crisi economica e l’unità dei comunisti

La storia non solo non è finita ma si è messa a correre. Nell’arco di questo breve 2008 il panorama politico, economico e sociale, interno ed internazionale, è completamente mutato.
Le turbolenze finanziarie, connesse al problema dei mutui americani, sono state la miccia che ha innescato una crisi senza precedenti che ha già determinato il brusco impoverimento di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. La stessa crisi però consente anche enormi affari e genera nuovo, immenso, potere per i pochissimi che possono speculare. Nessuno potrà convincermi che questo avviene senza una regia precisa ed uno scopo calcolato. Ogni giorno quelli che dovrebbero essere i pompieri dell’economia (la FED, la BCE, l’OSCE, il FMI) buttano nuova benzina (fatta di allarmi, di previsioni catastrofiche, di paura) sul fuoco che brucia la finanza.
La crisi del credito, che strangola le piccole imprese e le famiglie, produrrà concentrazioni e nuovi monopoli. La drammatica condizione dei lavoratori, ma anche di quelle che un tempo erano le classi medie, crea le premesse di una brutale guerra tra poveri e quindi delle fine di ogni garanzia e diritto contrattuale e sociale. Anche i tanto osannati interventi “statali” (abbastanza ambigui da affascinare anche parte della sinistra) in realtà sono la messa a disposizione di risorse pubbliche per dare una qualche stabilità a questa brutale ristrutturazione del mercato capitalistico che ci consegnerà una nuova, ed ancora più oligarchica, mappa del potere mondiale.
Di fronte a tutto ciò cosa fanno i comunisti?
Sappiamo già che in un anno avremo, solo in Italia, un milione di licenziamenti. La gran parte di questi avverrà in modo quasi invisibile dato che messi alla porta saranno i precari e gli “atipici”. Sappiamo già che le tensioni sociali vengono già scaricate sul nemico interno “l’immigrato” ( ed in futuro il comunista?) ed esterno “il terrorista” o “la Cina”. Sappiamo che nel frattempo la destra procederà al suo progetto di ristrutturazione classista dell’istruzione pubblica per cancellare ogni luogo di produzione di sapere e pensiero critico. Sappiamo che la militarizzazione delle nostre strade è la premessa per la repressione violenta (ed impunita come dimostra la sentenza del G8) delle lotte. Sappiamo che in Parlamento non c’è una opposizione e nel Paese solo il movimento degli studenti, i sindacati di base e la CGIL provano a costruire una rete di resistenza.
Il compagno Ferrero, di fronte al nostro insistere sull’unità tra i comunisti, ripete di continuo che l’unità si deve fare prima sui contenuti e nelle lotte e poi il piano politico (forse) seguirà.
Bene. Siamo da sempre d’accordo anche se ci permettiamo di dire che senza segnali, anche timidi, di unità sul piano politico ogni partito ha il dovere di dare autonomamente una sponda politica alle lotte ed al conflitto e prepararsi ad ogni evenienza anche sul piano elettorale.
Ma se siamo d’accordo perché aspettiamo a stringere tra noi un patto d’azione?
Servono pochi punti ma chiari che possano parlare al nostro popolo, ai lavoratori, agli studenti ma anche ai ceti medi in fase di impoverimento e spiegare come i comunisti propongono di affrontare la crisi.
Si potrebbe per esempio dire assieme che 20 miliardi alle banche sono uno scandalo e che le banche se vogliono i soldi devono essere, almeno in parte, proprietà dello Stato perché questo possa imporre politiche a favore delle famiglie con i mutui, delle piccole imprese, dei giovani?
Si potrebbe difendere con la CGIL il contratto nazionale di lavoro ma anche raccogliere subito le firme per un referendum contro la Legge 30 e quindi porre il tema drammatico della precarietà da affrontare anche con una legge che stabilisca un salario orario minimo garantito?
Si potrebbe dire ad una generazione di ragazzi che si sentono senza futuro e che urlano in piazza “la vostra crisi non la paghiamo” che hanno ragione e che serve una imposta patrimoniale che colpisca duramente quel 10% della popolazione italiana che possiede il 40% della ricchezza nazionale?
Si può dire che l’Europa delle banche ha fallito e che è ora che il sindacato chiami tutti i lavoratori europei ad uno sciopero comune per una nuova politica economica ed una vera democrazia continentale?
Si potrebbe, ancora, dire assieme che la base di Vicenza non deve essere costruita (e che lo impediremo in ogni modo); che ci batteremo contro le basi e le armi USA e Nato in Italia; che contrastiamo ogni idea di guerra contro l’Iran; che non vogliamo lo scudo spaziale ed invece cerchiamo un accordo strategico con la Russia e con la Cina?
Se si può fare perché non lo facciamo? Noi del PdCI siamo pronti da mesi. Rifondazione ci deve una risposta.