La crisi e i raid a Gaza riavvicinano Hamas e Fatah

Qualche notte fa, una delle più difficili per Gaza, dopo che i razzi sganciati dai caccia israeliani avevano colpito il suo ufficio, Ismail Haniyeh ha bussato alla porta della residenza di Abu Mazen per chiedere un colloquio urgente. Doveva essere un incontro veloce, solo fare il punto della situazione, e invece il premier palestinese e il presidente hanno discusso per quasi tre ore. Cosa si siano detti è uno dei temi di dibattito a Gaza. Una cosa però è certa. Da quando il commando palestinese ha preso a Kerem Shalom il caporale israeliano Ghilad Shalit, i rapporti tra Haniyeh e Abu Mazen si sono fatti più stretti. I due hanno «scoperto» di pensarla alla stesso modo su molti punti e, dicono le indiscrezioni, anche Haniyeh si sarebbe convinto della necessità di liberare subito il militare rapito, per evitare che Israele sfrutti l’occasione per rovesciare il governo di Hamas e rioccupare ampie porzioni di Gaza.
L’avvicinamento tra i due leader ha allentato le tensioni tra palestinesi e facilitato i piani di Abu Mazen, sempre convinto di poter «persuadere» Hamas a completare la svolta politica che ha avviato e a rinunciare alla lotta armata. Non sembra giovare invece ad Haniyeh.
«La nostra vittoria elettorale è stata una rivoluzione che non possiamo tradire – ci ha detto Abul Hani, responsabile per l’addestramento di una unità di “Ezzedin al-Qassam”, il braccio armato di Hamas – Ismail Haniyeh è una persona onesta ma faccio fatica ad accettare certe sue posizioni, ora si veste e parla come quelli del passato governo (di Al-Fatah). Deve allontanarsi da Abu Mazen non cercarlo altrimenti le nostre battaglie saranno inutili». Considerazioni condivise da parecchi militanti islamici. Tuttavia il portavoce di Hamas, Ghazi Hamad, nega l’esistenza di fratture nell’organizzazione. «Hamas è un corpo unico e non c’è conflitto l’ala armata e la leadership politica o come scrivono i giornali tra i dirigenti nei Territori occupati e quelli in esilio», ha affermato qualche giorno fa. I fatti indicano che il movimento islamico palestinese sta invece facendo i conti con una spaccatura senza precedenti nella sua storia.
L’esperto di movimenti islamici Mouin Rabbani, spiega che «Quando (lo scorso anno) Hamas ha deciso di osservare una tregua unilaterale con Israele e di partecipare alla vita politica e alle elezioni, la piattaforma politica venne approvata anche dal braccio armato dell’organizzazione». Tuttavia dopo la vittoria elettorale e la formazione del governo, ha aggiunto Rabbani, «gli attivisti più radicali hanno cominciato a mostrare segni di insofferenza rispetto alle dichiarazioni morbide di Haniyeh e ai toni soft di molti ministri. Le critiche fatte a mezza bocca sono divenute contestazioni vere e proprie nelle ultime settimane». Ad approfondire il solco è stata anche l’approvazione da parte di Haniyeh del «documento di pace» dei detenuti palestinesi che riflette più l’agenda politica di Al-Fatah che quella di Hamas. Secondo Rabbani dietro i contrasti c’è anche «l’assenza di un leader carismatico come Ahmed Yassin (assassinato nel 2004 da Israele, ndr) che aveva la capacità di accorciare le differenze tra le parti e mantenere l’unità del movimento». Non è chiaro il ruolo che il capo dell’ufficio politico di Hamas, Khaled Mashaal, in esilio a Damasco, sta svolgendo in questa fase. Per gli israeliani sarebbe lui la mente del sequestro di Ghilad Shalit, realizzato anche per mettere in difficoltà il «moderato» Haniyeh. Per i palestinesi invece sono minime le differenze tra il primo ministro e Mashaal – tanto che da Damasco sarebbe venuto il via libero ultimo all’approvazione, con le relative ambiguità, del documento dei prigionieri – ma quest’ultimo ha capito che soltanto alzando il tiro riuscirà a conservare un ruolo di primo piano anche in futuro.
Ieri Hamas avrebbe rivisto le sue richieste ad Israele per il rilascio di Gilad Shalit. Secondo il quotidiano arabo «Al Hayat», il movimento islamico chiederebbe ora il rilascio di un centinaio di prigionieri palestinesi, non più dei circa cinquecento tra donne e minori dei quali si è parlato finora. Il movimento chiede in più anche il rilascio di una trentina di detenuti in carcere da più di 20 anni.
Israele, ha aggiunto il giornale, avrebbe mostrato una certa disponibilità ma continuerebbe a discutere su quanti e su quali prigionieri rilasciare e quando.