La crisi alimentare: “La dimostrazione più grande del fallimento storico del modello capitalistico.”

“Se il governo non può abbassare il costo della vita, semplicemente dovrebbe andarsene. Se la polizia e le truppe ONU vogliono spararci contro, va benissimo, dato che alla fine, se non verremo ammazzati dalle pallottole, noi moriremo comunque di fame.” – Un dimostrante a Port-au-Prince, Haiti. Ad Haiti, dove la maggior parte delle persone riceve un quantitativo di calorie inferiore del 22% rispetto al minimo necessario per una buona salute, molti stanno attenuando i morsi della fame mangiando “biscotti di melma”, prodotti mescolando fanghiglia ed acqua con un po’ di olio vegetale e sale. [1] D’altro canto, in Canada, attualmente il governo federale sta pagando 225 dollari per ogni maiale abbattuto in una selezione di massa di animali adulti negli allevamenti di maiali, come parte di un piano per ridurre la produzione suina. Gli allevatori di suini, schiacciati dai prezzi bassi di realizzo della carne di maiale e dagli alti prezzi dei mangimi, hanno risposto tanto entusiasticamente che il massacro probabilmente esaurirà tutti i fondi messi a disposizione prima che il programma vada a completamento a settembre. Una parte dei maiali abbattuti verrà consegnata alla locale Banca del Cibo, ma molti verranno distrutti o trasformati in cibo per animali. Nessuno verrà inviato ad Haiti! Questo è il mondo brutale dell’agricoltura capitalista – un mondo dove alcuni distruggono cibo perché i prezzi sono troppo bassi, ed altri letteralmente mangiano immondizia perché i prezzi del cibo sono troppo alti! Prezzi record per alimenti dall’agricoltura Noi ci troviamo nel pieno di una inflazione, senza precedenti, dei prezzi alimentari estesa a tutto il mondo e che ha portato i prezzi ai livelli più alti da decenni. Gli aumenti interessano molti tipi di alimenti, ma in particolare i più importanti alimenti di base — frumento, grano, riso. L’Organizzazione per l’Agricoltura e l’Alimentazione (FAO) dell’ONU attesta che tra il marzo 2007 e il marzo 2008 i prezzi dei cereali sono aumentati dell’ 88%, degli oli e dei grassi del 106%, e dei latticini del 48%. Nel complesso, l’indice dei prezzi alimentari della FAO è balzato in un anno del 57% — e la quota importante degli aumenti è avvenuta in questi ultimi mesi. Un’altra fonte, la Banca Mondiale, afferma che i prezzi delle granaglie, negli ultimi 36 mesi, con termine febbraio 2008, sono aumentati globalmente del 181% e che i prezzi alimentari in generale sono cresciuti dell’ 83%. La Banca prevede che i prezzi della maggior parte degli alimenti rimarranno ben sopra i livelli del 2004, fino almeno al 2015. Cinque anni fa, la qualità più popolare del riso Tailandese veniva venduta a 198 dollari a tonnellata, e l’anno scorso a 323 dollari a tonnellata. Il 24 aprile, il prezzo raggiungeva i 1.000 dollari! Gli aumenti sono ancora più elevati sui mercati locali — ad Haiti, il prezzo sul mercato di un sacco di riso da 50 chili è raddoppiato nel giro di una settimana, alla fine di marzo. Questi aumenti sono catastrofici per 2,6 miliardi di persone nel mondo, che vivono con meno di 2 dollari al giorno e spendono dal 60% all’ 80% del loro reddito in cibo. Centinaia di milioni di persone non possono permettersi di mangiare. Questo mese, gli affamati hanno reagito lottando. Sono scesi per le stradeIl 3 aprile, ad Haiti, nella parte meridionale della città di Les Cayes, dimostranti hanno innalzato barricate, hanno bloccato camion che trasportavano riso, hanno distribuito il cibo e hanno tentato di dare alle fiamme un posto di controllo delle Nazioni Unite. La protesta si è rapidamente estesa alla capitale, Port-au-Prince, dove migliaia di manifestanti si sono diretti in corteo verso il palazzo presidenziale, scandendo ad alta voce: “Siamo affamati!”. Molti reclamavano il ritiro delle truppe delle Nazioni Unite e il ritorno di Jean-Bertrand Aristide, il Presidente in esilio, il cui governo era stato scalzato da poteri forti stranieri nel 2004. Il Presidente René Préval, che all’inizio aveva dichiarato di non potere fare nulla, annunciava un taglio del 16% del prezzo all’ingrosso del riso. Al massimo, questa si presentava come una misura tappabuchi, dato che la riduzione era valida per un solo mese, e i dettaglianti non erano obbligati a tagliare i loro prezzi. Azioni da parte di gente affamata, del tutto consimili alle proteste di Haiti, sono avvenute in più di altri venti Paesi. – In Burkino Faso, uno sciopero generale di due giorni è stato indetto dai sindacati e dai negozianti per ottenere riduzioni “significative ed efficaci” del prezzo del riso e di altri alimenti di base. – In Bangladesh, oltre 20.000 lavoratori delle industrie tessili di Fatullah hanno scioperato per richiedere prezzi più bassi ed aumenti di stipendio. Venivano lanciati ciottoli da strada e pietre contro la polizia, che sparava gas lacrimogeni contro la folla. – Il governo Egiziano ha inviato migliaia di soldati nel complesso tessile di Mahalla, nel Delta del Nilo, per impedire uno sciopero generale rivolto ad ottenere salari più alti, un sindacato indipendente, e un ribasso dei prezzi. Restavano uccise due persone e più di 600 venivano portate in carcere. – Ad Abidjan, Costa d’Avorio, la polizia ha usato gas lacrimogeni contro donne che avevano innalzato barricate, bruciato stracci e bloccato le strade principali. Migliaia si erano avviate in corteo verso la casa del Presidente, scandendo ad alta voce: “Abbiamo fame”, e “La vita è troppo cara, ci state ammazzando.” – In Pakistan e in Tailandia, sono stati impiegati soldati armati per impedire ai poveri di prelevare cibo dai campi e dai magazzini. Identiche proteste sono avvenute in Cambogia, Camerun, Etiopia, Honduras, Indonesia, Madagascar, Mauritania, Niger, Perù, Filippine, Senegal, Uzbekistan, e Zambia. Il 2 aprile, il Presidente della Banca Mondiale ha convocato un vertice a Washington dei 33 paesi in cui gli aumenti dei prezzi potrebbero provocare rivolte sociali. Un caposervizio della rivista Time avvertiva: “L’idea di masse affamate portate dalla loro disperazione a scendere per le strade per abbattere l’ancien regime sembrava impossibile e bizzarra, visto che il capitalismo ha trionfato in modo tanto deciso nella Guerra Fredda…Ed ora, i titoli di testa del mese scorso indicano che gli aumenti alle stelle dei prezzi del cibo stanno minacciando la stabilità di un numero crescente di governi in tutto il mondo…quando le condizioni rendono impossibile nutrire i loro bambini affamati, cittadini normalmente indifferenti possono all’improvviso diventare militanti disperati che non hanno nulla da perdere.” [2]Quali sono le cause dell’inflazione dei prezzi del cibo? Dagli anni Settanta, la produzione alimentare è diventata sempre più globalizzata e concentrata. Una manciata di paesi domina il commercio mondiale delle principali derrate alimentari. L’80% delle esportazioni di granaglie proviene da sei paesi esportatori, e questo vale anche per l’85% del riso. Tre paesi producono il 70% del grano esportato. Questo lascia i paesi più poveri del mondo, quelli che devono importare cibo per sopravvivere, alla mercé di orientamenti e politiche economiche di poche compagnie esportatrici. Quando gli ingranaggi del sistema mondiale del commercio degli alimenti terminano di girare, sono i poveri che pagano il prezzo. Per diversi anni, il commercio mondiale di derrate alimentari essenziali si stava direzionando verso una crisi. Quattro tendenze collegate hanno rallentato la crescita della produzione e hanno spinto i prezzi verso l’alto. 1) La fine della Rivoluzione Verde: negli anni Sessanta e Settanta, in un tentativo di contrastare il malcontento contadino nel Sud-Est Asiatico e nell’Asia Meridionale, gli Stati Uniti fornivano all’India e ad altri paesi denaro e supporto tecnico per lo sviluppo della loro agricoltura. La “Rivoluzione Verde” — nuove sementi, fertilizzanti, pesticidi, tecniche ed infrastrutture agricole — produceva una spettacolare crescita nella produzione alimentare, in particolare di riso. Il rendimento per ettaro continuava ad espandersi fino agli anni Novanta. Attualmente, per i governi non è di uso aiutare la gente indigente a coltivare cibo per altra gente povera, dato che si pensa che sia “il mercato” a prendersi cura di tutti i problemi. The Economist riferisce che “la spesa per l’agricoltura in rapporto alla spesa pubblica complessiva dei paesi in via di sviluppo si è dimezzata tra il 1980 e il 2004.” [3] I sussidi e il denaro per la Ricerca e Sviluppo R&S si sono prosciugati e l’aumento della produzione si è impantanato. Come risultato, nei sette degli ultimi otto anni il mondo ha consumato più granaglie di quelle che venivano prodotte, e questo significa che il riso è stato prelevato dalle scorte immagazzinate dai governi e dagli operatori commerciali come normale riserva assicurativa nel caso di scarsità di raccolti. Ora, le riserve di grano mondiali si trovano al più basso livello di sempre, permettendo quindi una ben piccola ancora di salvezza per i tempi duri. 2) Le variazioni climatiche: Scienziati asseriscono che le variazioni climatiche possono limitare del 50% la produzione alimentare in varie parti del mondo nei prossimi 12 anni. Ma questo non interessa solo il futuro:- Normalmente, l’Australia è per importanza il secondo esportatore al mondo di grano, ma una pesante siccità che dura da qualche anno ha ridotto la resa dei raccolti del 60% e la produzione di riso è stata completamente annullata. – In Bangladesh, in novembre, uno dei più devastanti cicloni degli ultimi decenni ha distrutto un milione di tonnellate di riso e danneggiato pesantemente il raccolto di grano, rendendo quel vasto paese ancora di più dipendente dalle importazioni di alimenti. Altri esempi abbondano. [N.d.tr.: da “il Manifesto del 7 maggio 2008. L’altra vittima del ciclone tropicale Nargis, che si è abbattuto nelle prime ore di sabato 3 maggio 2008 sulla regione Birmana del delta del fiume Irrawaddy: il riso. La zona più colpita dal ciclone Nargis è anche la più importante per la produzione di riso, di cui la Birmania è uno dei principali esportatori. Come prima conseguenza, un carico da 50.000 tonnellate che doveva partire per lo Sri Lanka è stato bloccato dal regime militare, in attesa di verificare le necessità alimentari del paese dopo la catastrofe. L’anno scorso la Birmania aveva esportato 400 milioni di tonnellate di riso. Tutto il Sudest asiatico è a questo punto attraversato dal problema se destinare ancora quantità così imponenti di produzione all’esportazione. Anche perché la qualità di riferimento sul mercato di Chicago – il riso tailandese 100% Grado B – ha raggiunto la soglia critica dei 1.000 dollari per tonnellata, ma i piccoli produttori asiatici non hanno tratto quasi nessun giovamento da questo rialzo dei prezzi. Nei giorni scorsi, perciò, la Tailandia – il principale esportatore, una sorta di Arabia Saudita del riso – ha proposto la creazione di una «Orec» dei produttori insieme a Birmania, Vietnam, Laos e Cambogia. La proposta ha ricevuto per ora soltanto il sì della Birmania, ma si sa che il Vietnam è favorevole e anche gli altri paesi sono fortemente interessati. «Siamo il centro alimentare del mondo, ma abbiamo poca influenza sui prezzi», ha spiegato il portavoce del governo Tai; «noi importiamo petrolio caro, ma esportiamo riso a basso prezzo». Una penalizzazione della bilancia commerciale che non può continuare all’infinito, pena gravi tensioni all’interno di questi paesi. Le critiche a questa proposta arrivano soprattutto dall’Occidente, e si basano sulla facile previsione che un eventuale cartello dei produttori farebbe lievitare ancor più i prezzi. Non tutti sono però convinti che il riso continuerà ad aumentare (+80% dall’inizio dell’anno). Le Filippine hanno rinunciato a una maxi-ordinazione da 675 mila tonnellate, convinte che ci sarà un ribasso a breve. Ed anche il presidente della spagnola Ebro Puleva, uno dei maggiori commercianti di riso al mondo, prevede che nel corso del 2009 si potrebbe tornare intorno ai 600 dollari per tonnellata. Bisognerà però vedere, adesso, se e quanto peserà la distruzione dei raccolti in Birmania (paese con 53 milioni di abitanti) sul mercato mondiale del riso.]Risulta evidente che la crisi climatica del globo si fa sentire anche in questo campo e impone i suoi effetti sui raccolti. 3) Gli agrocarburanti: Ora la politica ufficiale negli Stati Uniti, Canada ed Europa è quella di convertire prodotti agricoli da alimentazione in carburanti. I veicoli Statunitensi bruciano tanto grano bastante per coprire l’intero fabbisogno di importazioni alimentari degli 82 paesi più poveri nel mondo.[4] L’etanolo e il biodiesel ricevono agevolazioni in modo veramente pesante, il che significa, inevitabilmente, che raccolti di frumento o di mais vengono trasferiti dalla catena alimentare ai serbatoi del gas, e che in tutto il mondo nuovi investimenti nell’agricoltura vengono impegnati verso le coltivazioni di piante per la produzione di olio, come la palma, la soia, ed altre, olio da bruciare per ottenere energia. Questo fa aumentare in modo diretto i prezzi dei prodotti agrocombustibili, ed indirettamente incrementa il prezzo di altre granaglie, visto che gli agricoltori sono incoraggiati a convertirle ad agrocarburanti. Ed è così che gli allevatori Canadesi di maiali sono stati sorpresi dall’alto costo dei mangimi, e questo ha causato l’aumento dei costi di produzione della carne, visto che il grano è il principale ingrediente dei mangimi per allevamento nel Nord America. 4) I prezzi del petrolio: Il prezzo degli alimenti è vincolato al prezzo del petrolio, dato che il cibo può diventare sostituto del petrolio. Ma l’aumento del prezzo del petrolio può condizionare anche i costi di produzione del cibo. Fertilizzanti e pesticidi sono derivati dal petrolio e dal gas naturale. Il gas e il carburante diesel vengono utilizzati durante le fasi delle lavorazioni agricole di semina, di raccolta e di spedizione del prodotto.[5] È stato valutato che l’80% dei costi di produzione del grano sono costi per i carburanti fossili — quindi non è un caso che i prezzi degli alimenti crescano al crescere del prezzo del petrolio. * * * Alla fine del 2007, la riduzione degli investimenti nel terzo mondo, l’aumento del prezzo del petrolio e le variazioni climatiche hanno implicato un rallentamento di crescita della produzione e i prezzi sono aumentati. Buoni raccolti e un forte aumento delle esportazioni potevano ritardare la crisi — ma non è quello che è successo. L’innesco è stato il riso, l’alimento fondamentale per tre miliardi di persone. All’inizio di quest’anno, l’India annunciava che veniva sospesa la maggior parte delle esportazioni di riso, data la necessità di ricostituire le sue riserve. Poche settimane più tardi, il Vietnam, la cui raccolta di riso era stata compromessa da una importante infestazione di insetti durante la fase di maturazione, decideva per una sospensione di quattro mesi delle esportazioni per assicurare il fabbisogno necessario al mercato domestico. India e Vietnam insieme contribuiscono di norma al 30% delle esportazioni di tutto il riso, e quindi le loro decisioni sono stati sufficienti a spingere oltre ai limiti il già difficile mercato mondiale del riso. I mercanti di riso hanno cominciato immediatamente ad immagazzinare partite disponibili, accaparrando qualsiasi quantità di riso che potevano conservare, nell’attesa di un futuro aumento dei prezzi, e rilanciando il prezzo dei prossimi raccolti. I prezzi hanno spiccato il volo! Dalla metà di aprile, i notiziari hanno descritto “incette in previsione di aumento dei prezzi” dei contratti a termine (futures) del riso alla Camera di Commercio di Chicago, e vi sono state limitazioni di riso sugli scaffali dei supermercati in Canada e negli USA. Perché le rivolte? Già in tempi precedenti vi sono stati picchi nei prezzi alimentari. Infatti, se noi prendiamo in considerazione l’inflazione, negli anni Settanta i prezzi globali degli alimenti di base erano più alti di quelli attuali. Allora, perché questa esplosione inflazionistica sta provocando proteste di massa in tutto il mondo? La risposta sta nel fatto che dagli anni Settanta i paesi più ricchi al mondo, favoriti dalle agenzie internazionali da loro controllate, hanno sistematicamente ostacolato le potenzialità dei paesi più poveri di nutrire le loro popolazioni e di proteggere se stessi in una crisi di questa natura. Ne è potente e spaventoso esempio Haiti. Per secoli, ad Haiti era stato raccolto il riso, e fino a vent’anni fa i contadini di Haiti producevano circa 170.000 tonnellate di riso all’anno, sufficienti a coprire per il 95% il consumo interno. I coltivatori di riso non ricevevano sussidi governativi, ma, come in ogni altro paese produttore di riso di quel periodo, il loro accesso ai mercati locali veniva protetto da imposte tariffarie sulle importazioni. Nel 1995, come condizione per fornire un prestito disperatamente necessario, il Fondo Monetario Internazionale pretese da Haiti il taglio delle imposte sul riso di importazione, dal 35% al 3%, la percentuale più bassa nei Caraibi. Il risultato fu un massiccio flusso di riso dagli Stati Uniti che veniva venduto a metà del prezzo del riso di provenienza Haitiana. Migliaia di coltivatori di riso persero le loro terre e i loro mezzi di sostentamento, e oggi i tre quarti del riso consumato ad Haiti è di provenienza Statunitense. [6] Il riso degli Stati Uniti non ha preso il controllo del mercato Haitiano per le sue qualità migliori, o perché i coltivatori di riso negli USA sono più efficienti. È risultato vincente perché le esportazioni di riso sono pesantemente sovvenzionate dal governo USA. Nel 2003, i coltivatori di riso hanno ricevuto 1,7 miliardi di dollari in sovvenzioni governative, una media di 232 dollari per ettaro coltivato a riso.[7] Questa massa di denaro, la maggior parte della quale perveniva ad un gruppo ristretto di grandi latifondisti e di imprese del settore agro-industriale, consentiva agli esportatori Statunitensi di vendere il riso dal 30% al 50% inferiormente all’effettivo costo di produzione. In breve, Haiti veniva costretta ad abbandonare la protezione governativa dell’agricoltura domestica — e quindi gli USA hanno utilizzato i loro piani di protezione governativa per controllare i mercati. Vi sono state molte variazioni su questo tema, con i ricchi paesi del nord del mondo che impongono le politiche della “liberalizzazione” sui paesi del sud del mondo, poveri e gravati dal debito, e i paesi ricchi abusano di questo liberismo per impadronirsi dei mercati. I sussidi governativi valgono per un 30% delle entrate delle aziende agricole nei 30 paesi più ricchi al mondo, un totale di 280 miliardi di dollari all’anno, [8] un vantaggio insuperabile in un “libero” mercato, dove i ricchi dettano le regole. La competizione globale nel commercio delle derrate è truccata, e i poveri sono stati abbandonati, privi di protezioni e con raccolti limitati. Per giunta, per diversi decenni, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale si sono opposti a concedere prestiti ai paesi poveri, a meno che non sottoscrivano “Programmi di Aggiustamenti Strutturali” (SAP) che esigono che il prestito, destinato a depotenziare la capacità di concorrenza di questi paesi, produca il taglio delle imposte sulle importazioni, la privatizzazione dei servizi pubblici, e la riduzione o l’eliminazione dei programmi di sostegno per i loro coltivatori. Tutto questo è stato fatto con la promessa che il libero mercato avrebbe prodotto crescita economica e prosperità — invece, la povertà è aumentata e ogni sostegno economico all’agricoltura è stato eliminato. “Gli investimenti per introdurre sostegni strutturali e di sviluppo all’agricoltura sono andati assottigliandosi, e col tempo si sono esauriti del tutto, nella maggior parte delle aree rurali dell’Africa soggette ai Programmi SAP. È stato abbandonato ogni interesse per l’incremento di produttività delle piccole aziende di coltivatori. Gli aiuti dall’estero all’agricoltura sono venuti a mancare, non solo quando i governi si sono sottratti. I finanziamenti per l’agricoltura della Banca Mondiale sono scesi lo stesso in modo marcato dal 32% del prestito complessivo del 1976-8 all’11.7% del 1997-9.”[9]Durante le precedenti ondate inflattive dei costi delle derrate alimentari, i poveri avevano almeno accesso al cibo prodotto da loro stessi, agli alimenti prodotti localmente e disponibili a prezzi imposti localmente. Attualmente, in molte regioni dell’Africa, Asia e America Latina, questo non è proprio possibile. Sono i mercati globali a determinare ora i prezzi locali — e spesso il solo cibo disponibile deve essere importato da tanto lontano. * * * Il cibo non è solo un’altra materia prima — è assolutamente essenziale per la sopravvivenza dell’uomo. Il minimo che veramente l’umanità dovrebbe aspettarsi da qualsiasi governo o sistema sociale è quello di cercare di prevenire la fame — e soprattutto quello di non favorire politiche che neghino il cibo alla gente che ha fame. Per questo, il 24 aprile, il Presidente del Venezuela Hugo Chavez è stato assolutamente corretto nell’affermare che la crisi alimentare “è la più palese dimostrazione dello storico fallimento del modello capitalista”.

Footnotes [1] Kevin Pina. “Mud Cookie Economics in Haiti – L’economia dei biscotti di melma” Haiti Action Network, 10 febbraio 2008. http://www.haitiaction.net/News/HIP/2_10_8/2_10_8.html [2] Tony Karon. “How Hunger Could Topple Regimes – Come la fame può far crollare i regimi” Time, 11 aprile 2008. http://www.time.com/time/world/article/0,8599,1730107,00.html [3] “The New Face of Hunger – Il nuovo aspetto della fame” The Economist, 19 aprile 2008. [4] Mark Lynas. “How the Rich Starved the World – Come i ricchi affamano il mondo” New Statesman, 17 aprile 2008. http://www.newstatesman.com/200804170025 [5] Dale Allen Pfeiffer. “Eating Fossil Fuels – Divorare carburanti fossili” New Society Publishers, Gabriola Island BC, 2006. p. 1 [6] Oxfam International Briefing Paper, aprile 2005. “Kicking Down the Door – Abbattere a calci le barriere ” http://www.oxfam.org/en/files/bp72_rice.pdf [7] Ibid. [8] OECD Background Note: Agricultural Policy and Trade Reform.(Nota di fondo dell’OECD, Organizzazione Economica per la Cooperazione Europea: Riforma in agricoltura delle politiche e del commercio) http://www.oecd.org/dataoecd/52/23/36896656.pdf [9] Kjell Havnevik, Deborah Bryceson, Lars-Erik Birgegård, Prosper Matondi & Atakilte Beyene. “African Agriculture and the World Bank: Development or Impoverishment? – Agricoltura Africana e la Banca Mondiale: Sviluppo o Impoverimento?” Links International Journal of Socialist Renewal, http://www.links.org.au/node/328

* Socialist Voice, autore di Climate and Capitalism – Clima e Capitalismo. Global Research, L’indirizzo url di questo articolo a: www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8836 28 aprile 2008 Global Research Articles by Ian Angus © Copyright Ian Angus, Socialist Voice, 2008 Nota bene: Socialist Voice accetta volentieri domande, commenti e scambio di idee sugli articoli da noi pubblicati. A commento di questi articoli, andate a www.socialistvoice.ca ed usate il box “Feedback” alla fine della pagina. (Se il box non fosse visibile, cliccate sul link “Comments”.)