«Certo che difendo la Costituzione. E’ un po’ anche figlia mia. E voglio rimarcare affetto e ammirazione per Oscar Luigi Scalfaro che si è battuto con grande deteminazione per il no nel voto di oggi e domani». A Vittorio Foa non basta evitare che il testo che indica “libertà individuali e uguaglianze” venga travolto. «Per me la Carta costituzionale è un messaggio permanente di convivenza nel futuro, contro il “presentismo” fine a se stesso. Certo è forte la “convenienza” del presente, che determina la lotta politica del giorno per giorno; ma il partito del sì mostra di avere in mente solo quella. C’è anche però un messaggio permanente sulla “convivenza” che riguarda il futuro, le regole di civiltà. Non si tratta di difendere un testo, contro chi lo vuole cambiare, ma sapere cosa farne, come usarlo in un modo più ampio, allargare a tutti libertà individuali e uguaglianze». Queste le parole di Foa in tema di referendum, quando, alla vigilia del voto di oggi, gli abbiamo riletto la sua video intervista sul concetto di rappresentanza e cittadinanza per gli stranieri che vivono in Italia. L’occasione è stata un convegno organizzato dall’associazione «Nessun luogo è lontano», sul tema del voto e sulla «convivenza» tra cittadini comunitari e non.
Chi sono i migranti, per lei?
Avendo vissuto molti anni e gran parte del secolo scorso, ho assistito a molti diversi fenomeni di immigrazione, nei quali il problema della rappresentanza si è posto in ogni modo. Fin da quando ero bambino, la figura dell’immigrato coincideva con la figura dell’italiano che andava a vivere fuori dall’Italia, in America o in Francia e combinava insieme due elementi importanti. Emigrando risolveva in parte o cercava di risolvere problemi personali e familiari. D’altra parte risolveva un problema generale e dava un enorme contributo al paese da cui stava emigrando.
Che genere di contributo?
E’ una cosa notoria che, quando sono emigrate milioni di persone tra la fine dell’800 e gli inizi del 900 (fino al 1920) questa immigrazione ha creato, attraverso il denaro spedito in patria, una compensazione dei bilanci dello stato italiano permettendone un grande sviluppo industriale che in assenza delle rimesse, non sarebbe avvenuto. L’Italia ha creato la sua industria attraverso l’emigrazione. Questo è un fenomeno che bisogna tenere presente. Tutto ciò era possibile in quanto all’immigrato fossero riconosciuti dei diritti di cittadinanza maturati nel nuovo paese. Vedendo attraverso tanti anni una fenomenologia dell’immigrazione così varia (costretta o volontaria) ho colto un elemento caratteristico che vorrei sottolineare e che riguarda la figura dello straniero e poi la “figura” del paese che lo riceve.
In che senso le figure?
A me colpisce la doppiezza della figura dell’immigrato, come esule. Egli è un esule, comunque, sia che vada via costretto, sia che lasci il suo paese volontariamente. Vi è in lui un elemento fondamentale di attaccamento al passato, ma in qualche modo ha bisogno di un nuovo legame col futuro. Questa doppiezza è uno dei punti importanti della figura dell’immigrato. Il suo sentimento è doppio, simultaneo e pone dei problemi al paese che lo riceve. Qui è il punto centrale.
Ma la doppiezza in cosa consiste?
La rappresentanza e la sua capacità di produrre risultati positivi, dipende dal paese che lo riceve. Cioè da come uno stato riceve un immigrato, così concepisce l’immigrazione. Noi dobbiamo sapere che è un fatto inevitabile che lo straniero crei dei problemi. Ve ne sono di competizione , spesso immaginaria; ma egli crea dei problemi reali di adattamento, di civiltà, di coesistenza. E nel momento stesso in cui io vedo che questi problemi hanno un loro fine, che coinvolge tutti, il problema della rappresentanza è immediatamente posto. La questione della rappresentanza si deve porre nei termini seguenti: daremo un giudizio positivo o no all’immigrazione? nel primo caso di giudizio positivo, si deve fare tutto il necessario per realizzarla. Ma occorre sapere in partenza se il giudizio è positivo o meno. Sono personalmente persuaso che l’immigrazione e la sua rappresentanza siano positivi per una ragione molto semplice: la ricchezza sta nel diverso. L’immigrato è diverso. Può sembrare a me inferiore, incapace, uno che non conosce la lingua, che non sa la mia storia. Ma è diverso da me. E questa è la ricchezza. Se riconosco ciò, già posso dare una risposta al problema della rappresentanza. Essa è necessaria alla collettività.
Perché la rappresentanza è necessaria?
Occorre pensare ad alcune cose: la posizione verso l’immigrato e la sua rappresentanza può avere due percorsi mentali. Se il percorso è verso la civiltà, esso ha dei risultati positivi per tutti. Se, al contrario, il percorso porta verso l’odio, l’isolamento, il radicamento al passato, il rifiuto di vedere l’enorme peso benefico della diversità, noi andremo verso la barbarie.
E chi può fare qualcosa?
Tutti. La questione riguarda non tanto l’immigrato, quanto il paese che lo riceve e soprattutto la sua rappresentanza. Quel che conta è se lo considero o meno uguale a me. Se lo considero uguale a me, ho già assunto che il diverso è positivo; e noi dobbiamo aiutare questa diversità. Qualche volta penso al nostro futuro – sono così vecchio che posso permettermi di pensare al futuro – e la mia impressione è che il fenomeno dell’immigrazione sia generale, coinvolga il pianeta. E’ destinato ad accrescersi rapidamente nel prossimo futuro. Troverà delle resistenze accanite, delle forme di conservazione e di immobilismo che occorrerà combattere in tutti i modi. Ma nell’insieme c’è bisogno di allargarsi, di diversità. C’è bisogno di andare oltre.
Come possiamo favorire l’immigrazione?
Sono convinto che l’enorme divario che c’è oggi tra paese e paese e il senso di inferiorità di molte parti del mondo rispetto ad altre, renderà più forte il processo di immigrazione. Quella che appare oggi più forte che in passato, non è tanto la differenza di reddito tra i paesi, quanto la presa di coscienza che questa diversità non può essere superata. Potrà essere superata solo attraverso l’unità demografica. Solo così si potranno risolvere i problemi spaventosi delle disuguaglianze esistenti oggi e anche all’interno dei singoli paesi.
Come realizzare l’unità demografica?
Si realizza solo con la presa di coscienza di cosa è la cittadinanza e la sua rappresentanza.
In che senso rappresentanza?
Semplicemente assumendo che l’immigrato non è diverso da me e se pure lo è, va trovato il modo per superare la diversità. Ciò significa che in parte la deve superare lo straniero e in parte la devo superare anch’io. Non solo l’immigrato deve diventare simile allo stanziale, anche lo stanziale deve imparare qualcosa.
Cosa fare allora?
Se non vogliamo andare verso la barbarie e l’isolamento, ma verso la civiltà che si allarga, dobbiamo, noi e loro, sapere cambiare. E la rappresentanza è la chiave di questa differenza e del bisogno di sollevare questa differenza.