La Cosa rossa traballa

Domenica a Roma si sono riuniti i leader dei quattro partiti della sinistra radicale: Sinistra Democratica, Verdi, Comunisti italiani e Rifondazione comunista. L’obiettivo era giungere ad un nuovo soggetto politico a sinistra del Partito democratico. Questa manovra di unione delle forze massi-maliste cela in realtà la profonda crisi della politica “di lotta e di governo”. I partiti riunitisi a Roma hanno tra loro profonde differenze anche ideologiche e sfociano in un particolarismo che mira solo a mantenere nicchie di consenso privilegiato. Difatti, i partiti de “La Sinistra-Arcobaleno” non possono fondersi e neppure federarsi se non per mere questioni di consenso elettorale; permangono grandi differenze di impostazione politica che sono riassumibili nelle tre distinte identità della sinistra massimalista: il postcomunismo, il neocomunismo e l’ecologismo.
Il postcomunismo fa riferimento agli esponenti di Sinistra democratica, l’ex correntone Ds di Fabio Mussi e Cesare Salvi, e si basa su una continuità anche storica del ruolo del partito nella società: le sezioni, il radicamento elettorale, la concertazione sindacale e la discussione da farsi più in Parlamento che nelle piazze. Sinistra Democratica rifugge il movimentismo, le contestazioni ambientaliste e pacifiste, perché li considera strumenti impropri, eccessivi e populisti di proposta politica.
Il neocomunismo, viceversa, si basa su un rapporto di spiccata democrazia partecipativa da applicare su ogni questione: la Tav, la Base di Vicenza, i rigassificatori, le autostrade. Il risultato di queste consultazioni è ovviamente contro ogni nuova opera, ma questo risultato non è il fine ma il mezzo della politica dei neocomunisti. Rifondazione comunista, in particolare, si basa su questo metodo di partito leggero e molto demagogico, per attirare nuovi consensi elettorali. Il partito di Bertinotti e Giordano, inoltre, fa proprie le grandi sfide “internazionaliste” del XXI secolo, partendo dai fatti del G8 e dalle proteste anti-globa-lizzazione, in un’ottica di disquisizione teorica più che di realizzazione pratica. Ciò porta alla formazione di cavalli di battaglia su questioni perlopiù di forma.
La fondamentale differenza tra postcomunisti e neocomunisti è proprio il ruolo del partito storico: importante per i primi, marginale per i secondi. Per questo molti parlano del neocomunismo come di una politica che in realtà non contempla il comunismo “storico”. Ciò succede già in Germania, dove “Die Linke”, riferimento concreto della Cosa rossa, punta allo sviluppo del “glocalmovi-mentizmus”: un movimentismo con grandi tematiche ideali globali, unito alla strenua difesa degli interessi locali (o, meglio, localisitici). Su questo accanimento delle posizioni di minoranze ristrette trova un grande appiglio la nuova dottrina ecologista; ma pure qua ci sono discussioni e scontri all’interno della “Cosa Rossa”.
Sulle problematiche ambientali, ad esempio, ci sono da una parte i residui della vecchia ideologia industrialista (Diliberto in primis), dall’altra un integralismo ecologista (Pecoraro Scanio) per cui ogni infrastruttura è un male per l’ambiente e la società. I Verdi di Alfonso Pecoraro Scanio si legano qui all’ideologia Nimby (not in my backyard, “non nel mio giardino”), che ha avuto una grandissima eco mediatica negli Stati Uniti e nel Nord Europa, cui non si sono accompagnati risultati concreti ma solo una grande risonanza da spendere a fini elettorali: in Italia, un esempio di ciò è dato dai numerosi “comitati spontanei di cittadini”, che in realtà non sono quasi mai spontanei ma sono direttamente ispirati e istituiti dai partiti della sinistra massimalista. Dunque, altro che unità a sinistra.

da ragionpolitica.it