Bene l’approvazione della Finanziaria, ma ora con Prodi e con gli alleati vanno ridiscusse le priorità di questo governo. L’ala sinistra dell’Unione si prepara alle prossime battaglie, a cominciare da quella sul protocollo sul welfare. Rifondazione comunista, Sinistra democratica, Verdi e Comunisti italiani si sono dati appuntamento a Napoli, all’indomani del voto del Senato. I vertici della «Cosa rossa» cantano vittoria per il via libera al Senato di una manovra di bilancio che, per dirla con Fabio Mussi, «arriva al traguardo migliore di come era partita» e che, per dirla con Franco Giordano, «nonostante Dini ha portato alla stabilizzazione dei precari nel pubblico impiego». E questo, dicono sia il coordinatore di Sd che il segretario del Prc, grazie al fatto che le forze di sinistra hanno fatto fronte comune per tutta la battaglia parlamentare, dalla presentazione di emendamenti unitari fino alla dichiarazione di voto con lo speaker unico.
«Abbiamo sperimentato l’effetto benefico del primo passo di unità a sinistra», dice Mussi intervenendo all’iniziativa pubblica organizzata alla Città della scienza di Bagnoli. Ora però si apre una fase decisiva per il centrosinistra, avverte il ministro dell’Università. «Dobbiamo chiedere a Prodi e agli alleati di sedersi attorno a un tavolo per rimettere in ordine le priorità. E poi dobbiamo lavorare sodo per realizzarle. Il governo può anche cadere. Guai se cadesse per responsabilità della sinistra. Il nostro impegno è perché faccia bene e faccia meglio». Mussi cita tra le priorità il lavoro e il problema del precariato, per poi buttare lì una frase che lascia prefigurare scenari di diverso tipo: «il voto sul protocollo non è scontato». E Questo il prossimo fronte sul quale giocherà le sue carte e verrà messa alla prova la sinistra unitaria. Come si è visto alla manifestazione del 20 ottobre, alla quale aderirono Prc e Pdci ma non Verdi e Sd, le posizioni sulle strategie non sono coincidenti. Non a caso, se Mussi oltre quella sibillina frase non va di fronte alla platea riunita a Napoli, Giordano invece calca la mano proprio sul protocollo, definendo «assolutamente necessarie» le modifiche al decreto nella conversione in disegno di legge. Come però, d’altro canto, non è un caso se il segretario del Prc sta attento a non creare lacerazioni all’interno del soggetto «unitario e plurale» che dovrà nascere: sa che Mussi e i suoi alla manifestazione di un mese fa non hanno partecipato proprio perché preoccupati di una piazza che potesse dar voce a posizioni antisindacato, e di fronte al ministro dell’Università e alla platea dice che alle modifiche ci si può arrivare «con il consenso del movimento sindacale»: «Nessuna contrapposizione», assicura anche a benefìcio di Alfonso Pecoraro Scanio (per il Pdci c’è il capogruppo alla Camera Pino Sgobio). L’asse tra Giordano e Mussi, i due più propensi a vedere nella nascente federazione un semplice passo intermedio verso un soggetto sì plurale ma veramente unitario, non dovrebbe insomma essere incrinato dalla battaglia sul protocollo. Anche perché se Giordano vuole «impedire che l’agenda politica sia dettata dal Pd», Mussi fa notare che, «non può continuare ad esistere un arcipelago a fare da corona al Pd» e che «solo una sinistra unita, a due cifre, può incidere». Sull’abolizione del «job on call» e sul fatto che i contratti a termine non possano superare i 36 mesi l’intesa c’è, e verrà presentata agli alleati in un vertice che si preannuncia tutt’altro che semplice. Se Dini fa sapere che se il protocollo viene «annacquato» è pronto anche a far cadere il governo, Mussi spera che l’ex premier rifletta: «Buttare tutto all’aria senza sapere dove si va non sarebbe un atto di ragionevolezza politica».