Si parte, dunque, ma per andare dove? Nel lessico della sinistra «si apre un processo», nel senso che dagli Stati generali dell’8 e 9 a Roma uscirà un embrione di forza unitaria, qualcosa di più di una semplice alleanza (elettorale) e qualcosa di meno di un nuovo partito. La stessa cosa che in campo ulivista si chiamò la Fed. Poi si è visto com’è andata, due anni dopo è nato il Pd. È questa l’idea di Fausto Bertinotti: la forza delle cose condurrà ineluttabilmente al nuovo soggetto della sinistra. Ma quando? E come? Il presidente della camera morde il freno. Ha fatto scendere in campo gli intellettuali di riferimento più prestigiosi – due giorni fa Rossana Rossanda, ieri Mario Tronti – per un messaggio chiarissimo: basta cincischiare.
Ma qui è pure peggio. Ieri in un’ennesima riunione a quattro si sono misurate tutte le distanze su legge elettorale, rapporto col Pd e futura collocazione: hai detto niente. Emerge via via tutta la differenza fra la Cosa bertinottiana (un vero soggetto autonomo, a sinistra del Pd, potenzialmente all’opposizione) e le ambizioni degli altri tre, recalcitranti all’idea di mollare la sfida del governo facendolo per di più sotto l’ombrello – l’egemonia – del presidente della camera.
L’intervista di Tronti a Liberazione è in perfetta sintonia con ciò che pensa Bertinotti, e cioè che il superamento dello schema della seconda repubblica imperniato sui poli contrapposti, la rottura del modello elettorale, insomma la nascita del Pd e la fine della Cdl, tutto questo non può non porre alla sinistra la scommessa di una sua ristrutturazione: «Non si può rimanere in stand by – ha detto il filosofo marxista – oppure fingere di muoversi, per esempio presentando un simbolo per le elezioni e basta». Simbolo che in effetti sembra pronto per le amministrative: «La sinistra», semplicemente. Ma ci vuol altro: un nuovo partito alla sinistra del Pd. Giordano ha accolto le sollecitazioni degli intellettuali: «Dobbiamo accelerare l’unità a sinistra. Rifondazione ci sta».
La domanda è semplice: tutta Rifondazione «ci sta»? E non si sta parlando solo della componente dell’Ernesto, neanche di Mantovani o Giannini. Ma di uno importante come Paolo Ferrero, per esempio. E gli altri sono pronti? Diliberto non rinuncia alla formula della federazione, cioè un progetto unitario nel quale ciascuna forza mantiene la propria identità, i propri simboli (la querelle sulla falce e martello), i propri gruppi dirigenti. Ieri Diliberto si è spazientito, stanco di essere individuato come l’unico ostacolo al progetto della Cosa rossa. «E i Verdi, allora?», fanno notare gli uomini del Pdci, stigmatizzando la riluttanza di Pecoraro a mollare il sole che ride «come noi facciamo con la falce e martello». Nessuno può giurare che Pecoraro alla fine sceglierà la Cosa rossa, rassegnandosi a stingere il suo verde nell’altrui rosso. Decideranno, prima o poi. Il tempo stringe, però.