La linea del Piave è stata fissata all’8 per cento. Sotto quella soglia, il risultato di Sinistra-Arcobaleno verrà considerato dai contraenti del patto politico-elettorale una sconfitta. Eppure l’8 per cento è distante dal 10 che nelle elezioni del 2006 era la somma dei voti di Rifondazione, Verdi e Pdci. Questa volta, con l’apporto degli ex diessini di Sinistra democratica, era ragionevole considerare l’obiettivo minimo il consolidare un risultato a due cifre. Ma il realismo dei sondaggi ha stabilito che una trentina di eletti alla Camera e una decina al Senato sarebbe un risultato tutt’altro che disprezzabile, visti gli handicap che Sinistra-Arcobaleno ha dovuto patire nella campagna elettorale (dalla decisione di Walter Veltroni di fare harakiri dell’alleanza di centrosinistra dell’Unione che ha sostenuto il governo Prodi, alla rapidità con cui si sono sciolte le Camere).
Non è solo il “voto utile” invocato dal Partito democratico a far soffrire la sinistra di alternativa. Quello che doveva essere un progetto pensato e processuale, è diventato una emergenza elettorale per salvaguardare una rappresentanza parlamentare di resistenza, prendere fiato e rilanciarsi in un mutato quadro politico. Gli elettori di sinistra, già delusi per l’esperienza di governo, sentono così più puzza di escamotage che profumo di novità. Anche la composizione delle liste elettorali contribuisce a questa sensazione. Poche novità, nomi scelti con la logica dei tagli rispetto alla passata rappresentanza parlamentare (quasi centocinquanta eletti tra Camera e Senato), riproposta della leadership di Fausto Bertinotti come unica personalità in grado di assicurare il minimo comune denominatore a Prc, Verdi, Pdci e Sd. Pur spostandosi il Pd ulteriormente al centro, non si è aperto di conseguenza più spazio a Sinistra-Arcobaleno. L’eventuale ritorno di Berlusconi al governo, inoltre, fa meno paura del 2001 e del 2006 (non fosse altro perché si tratterebbe di una “terza volta”), mentre l’idea di pareggiare al Senato solletica gli elettori più di sinistra che potrebbero decidere il voto disgiunto: Sinistra-Arcobaleno alla Camera, Pd al Senato (il contrario di due anni fa, quando il Prc con il 7,2 per cento fu premiato al Senato dove Margherita e Ds si presentavano divisi mentre alla Camera correvano uniti sotto il logo dell’Ulivo).
Se la soglia dell’8 per cento non fosse raggiunta, si potrebbe assistere di conseguenza all’ennesima frammentazione della Cosa rossa e a qualche bagarre interna alle singole componenti. Il Pdci di Oliviero Diliberto ritornerebbe a casa propria, puntando sulle elezioni europee dell’anno prossimo. La maggioranza dei Verdi potrebbe avvicinarsi al Pd. Rifondazione andrebbe a un congresso dove chi è stato critico rispetto alle scelte del segretario Franco Giordano tenterebbe la rivincita (dalla minoranza di Claudio Grassi e Alberto Burgio fino all’ex ministro Paolo Ferrero).
A colpire, più di ogni altra constatazione, è la dispersione della novità che al nuovo progetto di Cosa rossa poteva assicurare Sinistra democratica sia come cultura politica, sia come bacino di militanti e di elettori. Forse l’addio al Pd è arrivato troppo tardi e sulla base di una analisi che ha tardato a prendere atto della realtà («Il Pd non si fa, troppe contraddizioni sul tappeto», si è continuato a dire fino a un anno fa). Forse si sono logorati eccessivamente i rapporti tra Sd e la sinistra della Cgil (la candidatura nel Pd dell’ex segretario confederale Paolo Nerozzi). Forse è stato un errore non continuare a fare dell’appartenenza al socialismo europeo – che pure compare
nel logo di Sd – l’asse identitarie) di un nuovo soggetto della sinistra. Sta di fatto che ora la maggioranza di Rifondazione e Sd hanno la responsabilità di rendere irreversibile il tentativo di Sinistra-Arcobaleno, qualunque sia l’esito del 13-14 aprile.
L’Italia dei prossimi mesi – è il pessimismo della ragione a far pensare così – potrebbe essere l’unico Paese europeo dove, oltre a non esserci un Partito socialista corposo elettoralmente e politicamente, non ci sarebbe neppure una nuova sinistra in grado di punzecchiare il Pd (l’esempio della Linke in Germania, nata dalla fusione della sinistra socialdemocratica di Oskar Lafontaine e gli ex comunisti di Gregor Gysi, resterebbe un obiettivo tutto in salita). Mentre Izquierda unida in Spagna ha perso terreno per la coerenza programmatica di José Luis Rodriguez Zapatero sui temi dei diritti e delle libertà, e in Francia il ridisegno della sinistra radicale è destinato ad attendere le sorti della crisi del Partito socialista di Ségolène Royal, qui da noi sarebbe la nascita del Partito democratico ad aver determinato il ghigliottinamento di ogni altro tipo di sinistra non trascurabile dal punto di vista politico ed elettorale.
Sarebbe quindi opportuno che al buon risultato in voti del Pd si possa affiancare anche la tenuta del progetto di Cosa rossa (e chissà il miracoloso 4 per cento del Partito socialista alla Camera). Primum vivere, deinde philosopharì recita una saggia e antichissima massima latina.