La Cosa Rossa prova a decollare ma su falce e martello è guerra

Per Verdi e Pdci non si va oltre la federazione. L’8 dicembre l’assemblea della sinistra

“Volete andare via por­tandovi falce e martello? E andate pure. Noi accettiamo la sfida, siamo pronti a metterci in gioco, adaprire, con soggetto unitario e simbolo nuovo”. Nel bel mezzo del vertice a quattro convocato alla svelta negli uffici del ministero di Fabio Mussi all’Eur per dettare tempi e modi della “Cosa rossa” —gli equilibri sono quelli che sono e non c’è tem­po da perdere — il leader del Prc Franco Giordano sbotta così all’in­dirizzo del collega dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto. Culmi­ne di un tira e molla che ha segnato tutti i novanta minuti della riunio­ne alla quale partecipa con i tre an­che il numero uno dei Verdi, Peco­raro Scanio.
I due depositari dei simboli eredi del Pci, d’altronde, hanno finito con l’incarnare le due opposte filo­sofie del progetto. Da una parte, Il segretario di Rifondazione pronto a spingere fino al soggetto unitario, se non proprio al partito unico cal­deggiato da Mussi, e ad accelerare i tempi. Diliberto molto più cauto («Per noi il modello è l’Ulivo») e con lui il ministro dell’Ambiente: nulla più di una federazione. Ad ogni mo­do, niente simbolo predefinito («Quello fatto circolare sui giornali è improponibile» ha stroncato il co­munista italiano) e guai a parlare di leader, per adesso. Il nome di Nichi Vendola nessuno lo ha fatto, aleggiava tra i convitatì. Mentre Diliber­to provocatorio rilanciava: «Per me, il leader naturale sarebbe Bertinot­ti». Con Giordano che subito chiudeva: «Ma lui non è interessato». Quanto al nome della “creatura”, si fa largo un semplice e generico «La sinistra», al quale Pecoraro Scanio vorrebbe appioppare qualcosa del tipo «Ecologista» o «Arcobaleno». Si vedrà. Per ora, l’approdo finale del­l’ora e mezza di confronto serrato tra i quattro, «costretti» a imprime­re una svolta dopo la marcia di sa­bato scorso («Dobbiamo raccoglie­re quella domanda» spiegava Mus­si) , ma soprattutto dopo le primarie del Pd, è una mediazione che lascia tutti soddisfatti o quasi.
Primo. Entro fine anno la federa­zione dei gruppi parlamentari (non la fusione, sia chiaro) con la desi­gnazione di uno speaker unico a turno. Risultato: a Montecitorio 94 deputati, a Palazzo Madama 46 se­natori. Ancora prima, nuovo ap­puntamento di popolo, stavolta a Piazza Farnese a Roma, il 10 no­vembre, per ricordare i vent’anni dal referendum vinto sul nucleare. Date cerchiate di rosso l’8 e il 9 di­cembre, quando si terranno non gli «stati generali», auspicati da Giordano e Mussi ma, come chiesto da Diliberto e Pecoraro, l’«Assemblea generale della sinistra e degli ecolo­gisti». Tutti insieme, gli eletti delle quattro sigle, pezzi del movimento e del sindacato per varare il manife­sto programmatico, che poi sarà sottoposto, tra gennaio e febbraio, a delle vere e proprio primarie. «Non sarà una consultazione pei scegliere costituenti o leader, piut­tosto i dieci grandi temi che ci dovranno caratterizzare — spiega Pe­coraro Scanio al rientro a Montecitorio — Noi non andremo oltre la federazione, siamo Verdi e manterre­mo la nostra autonomia. Vendola leader? No, rappresenterebbe solo una certa sinistra. Dobbiamo apri­re, farei piuttosto il nome di Stefano Rodotà». A guidare la «Cosa» sarà un coordinamento con iquattro big e poche altre figure esterne ai parti­ti. Mente tessere, pur sollecitate giorni fa dal Prc. A dividerli resta an­che il nodo tutt’altro che seconda­rio della legge elettorale. «Non po­tete rompere con questo modello tedesco» ha incalzato all’indirizzo di Giordano il verde Pecoraro, pei dire il clima. E siccome per ogni unità a sinistra c’è il prezzo di una scissione da pagare, ecco che Turigliatto e Cannavo della Sinistra cri­tica del Prc annunciano che l’8 di­cembre non ci saranno. Riuniran­no a Napoli coloro che vorranno dai vita a una «sinistra anticapitalista».