La cosa rossa è un po’ rotta

Alla fine, a pochi giorni dall’assemblea generale die dovrebbe lanciare in pompa maima la federazione «rosso-verde», tutti i nodi vengono al pettine. Complici i nervi tesi per la sconfitta sul welfare, la cosiddetta «cosa rossa» assomiglia sempre di più a una «cosa rotta». Prc, Sd e Verdi accusano Diliberto di «slealtà» e lo mettono quasi alla porta. M’ennesimo «più uno» di Diliberto, la risposta di Mussi e Giordano è chiarissima: avanti con chi ci sta.
Come spesso accade per i grandi conflitti il «casus belìi» è un evento minore: la non partecipaziorie del Pdci al voto finale sul welfare dopo il voto di fiducia concesso ieri. Una scelta bollata come «sterile propaganda» da un comunicato congiunto degli altri tre partiti. Anche se in serata (mentre scriviamo è ancora in corso un vertice dei segretari) sembra prevalere la volontà di ricucire, per tutto il pomeriggio gli alleati a sinistra non si sono risparmiati bordate di fuoco. «Quando siamo saliti erano lì che scrivevano un comunicato durissimo, che ci accusava di slealtà per il comportamento in aula», racconta Oliviero Diliberto. Di parere opposto Titti Di Salvo, capogruppo di Sd alla camera: «Il non voto del Pdci sul welfare è stato un colpo a freddo, se lo avessimo fatto tutti il governo sarebbe caduto – racconta esterrefatta – glielo avevamo anche chiesto prima cosa avrebbero fatto e non ci hanno detto niente». Accuse a cui risponde altrettanto allibito Jacopo Venier del Pdci: «La federazione non è ancora nata e già si caccia via qualcuno. Noi volevamo dare un segnale a Prodi, non alla sinistra. E comunque anche in un processo federale ogni partito mantiene la sua autonomia, su” questo non ci piove. Non può essere che qualcuno decide e l’intendenza segua». Il volto terreo tradisce una certa preoccupazione e la volontà di ricucire. Cesare Salvi (Sd), senatore in transito alla camera per il vertice poi annullato con Veltroni è esplicito: «Non possiamo escludere nessuno dalla federazione a meno che qualcuno non si escluda da solo. Ma non è che a ogni passaggio decidiamo una cosa e poi ognuno fa come gli pare». La tentazione di andare a un chiarimento definitivo è palpabile. E ai piani alti del Pdci parlare di irritazione verso Rifondazione è un pallido eufemismo: «Giordano non ha concordato la richiesta di verifica con nessuno. E nemmeno l’uscita del Prc dalla commissione Lavoro che stava per far saltare tutto. La verità è che Pagliarini (il presidente, ndr) è stato lasciato solo, si vede che hanno scoperto l’unità a sinistra solo da poco».
La situazione è critica. Giordano si consulta con Bertinotti che lo invita a insistere. Poi convoca una segreteria urgente a Montecitorio. «Dobbiamo andare avanti con grandissima determinazione – avverte il segretario – l’assemblea di dicembre si farà con chi ci sta. Lì presenteremo il simbolo e la carta comune. E se il Pdci ci vuole scavalcare giocando su un’autonomia identitaria noi acceleriamo».
E pensare che con l’incontro del «patatrac», in origine perfino riservato, i quattro segretari dovevano decidere la bozza di simbolo comune da mandare in tipografia e, soprattutto, ragionare sulla verifica di governo dopo la rottura sul welfare. Ma ad avere qualche dubbio non c’è solo Diliberto. Anche i Verdi frenano a tavoletta. «Lo scontro di oggi è tutto tra Rifondazione e Pdci – dice Alfonso Pecoraro Scanio prima del vertice notturno – noi lavoriamo per l’unità di una coalizione all’interno dell’area arcobaleno che è la sinistra con gli ecologisti». Non a caso, il Sole che ride insiste per tenere distinti i piani, i «rossi» e i «verdi». A microfoni spenti, anche qui per carità escludendo rotture, si è ben più espliciti: «La verità è che all’assemblea dell’8 e 9 non nascerà nessuna federazione. Sarà un incontro della sinistra e degli ambientalisti». In effetti, almeno a giudicare dalle eccezioni che ogni partito ha presentato per una lista comune alle amministrative di primavera, si fa prima a dire che la «cosa rossa» non ci sarà quasi da nessuna parte, forse solo alla provincia di Roma. Vuoi per motivi locali, vuoi per motivi di tecnica elettorale, è difficile che se ne parli prima delle politiche (visto che alle europee del 2009 a Strasburgo non si potrà andare molto oltre l’intergruppi di questa legislatura).
La partita è comunque ad alto rischio. Rifondazione a marzo va a un congresso difficile. Il Pdci non nasconde la preferenza per una confederazione tra stati maggiori e rivendica a ogni occasione «piena autonomia» tra partiti che non si scioglieranno mai. I Verdi stanno alla finestra, aprono al «mattarellum» e sperano nell’alleanza con Veltroni. Anche Sd è in bilico. Dopo l’addio di Angius anche Paolo Nerozzi (Cgil) ha rotto con Mussi ed è sul piede di guerra. Tanto che sta raccogliendo firme in tutta Italia per chiedere che il movimento si tiri fuori dalla «cosa rossa» e non partecipi all’assemblea di dicembre.
Il tutto mentre lo stato dei rapporti con Prodi è al minimo. Così basso che alla sinistra in rivolta il Professore avrebbe ventilato la possibilità di una conferenza sulla precarietà da fare a gennaio, ricevendo in cambio una sonora risata. Qualcuno che frena però c’è sempre. Qualche giorno fa, in senato, si è parlato della creazione di un gruppo unico della sinistra con un capogruppo a rotazione ogni sei mesi. Idea ottima per Russo Spena (Prc), Salvi (Sd) e Palermi (Pdci), ma non per i Verdi, che l’hanno insabbiata. «I passaggi critici servono a chiarire bene le cose», chiosa Zipponi (Prc) dall’alto della sua lunga esperienza sindacale. Come se quest’ultimo incidente possa eliminare qualche zavorra di troppo e permettere alla «cosa» di spiccare il volo.