La Cosa rossa copia la road map del Pd

Ci sono gli acceleratori: quelli che spingono per un «superamento» dei partiti esistenti (da Alfonso Gianni a Famiano Crucianelli). Ci sono i frenatori: quelli che all’ipotesi di un «soggetto unitario della sinistra» sono contrari in nome dell’identità comunista (la Sinistra Critica di Cannavò). E ci sono i federatori: il grosso dei gruppi dirigenti di Prc, Verdi, Pdci, Sd che vuole andare avanti ma senza sciogliere i rispettivi partiti. E darà via a una cabina di regia composta da otto membri (due per ogni partito), che dopo gli stati generali guiderà il processo: un «coordinamento paritetico» – spiega il responsabile organizzativo del Prc Francesco Ferrara -«proprio per agevolare il percorso unitario». Il quadro di partenza è ormai chiaro. E la Cosa rossa sembra seguire il metodo Pd: acquisito (così pare) il “che cosa” («il soggetto unitario e plurale») i partiti discutono del “come”. Ma, soprattutto, si dividono sull’atteggiamento verso il governo (vai alla voce: welfare) e sulla collocazione internazionale del futuro partito. Ma procediamo con ordine.
Rifondazione si muove su due fronti. A marzo svolgerà il congresso sul “che cosa” e nel frattempo ha lanciato gli stati generali sul “come”. Sembra il modello Orvieto del Pd. Giordano è il Fassino della Cosa rossa: cerca di mantenere il partito unito ma, sapendo che comunque perderà pezzi (Cannavò appunto), vuole anche limitare i danni. Accelera con Mussi e media in casa, non vuole rompere col governo ma promuove la piazza del 20 ottobre; nonché la consultazione per rimanere o meno nell’esecutivo: a sentire quelli di Rifondazione è certo, anzi certissimo, che si farà, ma non si sa quando. La sua preoccupazione è soprattutto il dissenso interno. Da quando infatti la componente “Essere comunisti” di Grassi è entrata nella maggioranza del partito gode di circa l’80 per cento dei consensi. Ma per Grassi,la cui area conta circa il 20 per cento, ci sono due punti dirimenti. E primo: alla fine del percorso Rifondazione deve continuare ad esistere come soggetto politico. Il secondo è la critica a Prodi sulla politica economica: «Prodi non è stato garante del programma, preoccupandosi più delle imprese che della redistribuzione verso le fasce più deboli. Per non parlare del Protocollo sul welfare. Mussi non è disposto a mettere in discussione l’esecutivo. Noi invece siamo pronti a tornare in autonomia come nel ’98». E sulla politica estera: «Sull’Afghanistan non possono pensare di prenderci in giro. Dopo il primo voto avevamo chiesto invano un comitato di monitoraggio, dopo il secondo una conferenza di pace, al terzo se non ci propongono una exit strategy votiamo contro». Se Giordano non vuole uscire indebolito al prossimo congresso non può quindi spingersi oltre l’ipotesi della federazione e deve mantenere la linea “di lotta e di governo”. Vorrebbe invece andare ben oltre la federazione Alfonso Gianni, che sulla permanenza al governo non ha dubbi («E una opportunità, non una disgrazia») e nemmeno sul partito che verrà: «La federazione è un po’ smorta come ipotesi. Può essere una tappa. Ma il punto di arrivo è il superamento di Rifondazione, anche nel nome e nel simbolo». Sulla collocazione internazionale l’approccio sembra uguale e contrario a quello democrat. Prosegue infatti Gianni: «Non la vedo come un ostacolo insormontabile. Conta una azione comune. Il processo italiano potrebbe portare a un rimescolamento anche in Europa».
Tra gli acceleratori anche il verde Paolo Cento: «Dobbiamo mettere insieme in un unico soggetto tipo social forum con uno speaker comune anche chi ha riferimenti internazionali diversi». Ma c’è anche chi frena. Pecoraro Scanio, infatti, è più scettico e prima di abbandonare il simbolo vuole vedere con quale sistema si andrà a votare. Il consiglio generale dei Verdi, svoltosi domenica scorsa, ha votato, infatti, la linea di sintesi una «alleanza arcobaleno» di tutte le forze a sinistra del Pd che non prevede lo scioglimento dei partiti (la federazione appunto). E il Pdci? Diliberto ha svolto un congresso sulla linea della «sinistra senza aggettivi». Ma poi ha scelto l’estremizzazione in ogni campo. Da ultimo le denunce di Rizzo sui brogli elettorali – «chi li avrebbe commessi sarebbe del suo partito» denunciano ambienti sindacali – hanno esasperato, e non poco, gli animi della sinistra-sinistra. In particolare dentro Sd dove si registrano non poche tensioni. Gli acceleratori (da Crucianelli a Bandoli) sono anche i dirigenti più vicini alla Cgil e vorrebbero tutt’ altra linea sul governo e, in prospettiva, non vogliono rinunciare al Pse. La resa dei conti comunque avverrà a urne chiuse. E il leader? Anche qui il modello sembra il Pd. La federazione infatti porterebbe a un inevitabile logoramento delle leadership in campo e darebbe spazio a chi nel frattempo rimane meno esposto: la Cosa rossa – ormai non è più un mistero – potrebbe trovare il suo Veltroni in Nichi Vendola.