ROMA — «Forse potremmo morire per Danzica, – certamente non moriremo per Prodi». Il paradosso della politica italiana è che si può pronunciare un epitaffio anche per un governo in vita. Perché non c’è dubbio che ieri Prodi alla Camera, con la fiducia sul Welfare ha ottenuto quanto chiedeva. Ma se pezzi consistenti della maggioranza — come spiega Diliberto — vedono nel premier una sorta di «dracula» che «vampirizza» gli alleati, allora per l’esecutivo diventa complicato anche tirare a campare. Di sicuro i leader delia sinistra radicale—un tempo «guardie del corpo» del Professore—non accettano più di fare i donatori: «Di sangue ne abbiamo già versato — dice il segretario del Pdci —e a causa di Prodi stiamo perdendo il consenso dei nostri elettori».
I sondaggi riservati stanno a testimoniarlo, da mesi gli ìndici per le forze movimentaste sono costantemente negativi. Nell’ultima settimana, addirittura, a fronte di una modesta ripresa del governo (che nei giudizi positivi passa dal 33,5% al 34,9%), si registra l’ennesima flessione per il Prc (scesò ancora di due decimali al 4,6%), per i Verdi (che.cala-no dal 2,3 al 2,1%) e per il Pdci (che atterrano all’1,6%). In un altro rilevamento, dove si studiano ì consensi «per blocchi», il segnale è ancor più allarmante, perché la Cosa Rossa—presa nel suo insieme — non va oltre il 5%. Solo il Pd è dato in crescita di quasi un punto (al 27,7%), e questo è motivo di ulteriore tensione nell’area estrema del centrosinistra.
Prodi non è Danzica, «e noi non siamo disposti a sacrificare il rapporto con Za nostra base», avvisa Giordano: «A gennaio la verìfica sarà decisiva, e chiederemo di incastrare le questioni di governo con la partita sulla legge elettorale». Così il segretario del Prc offre due elementi: il primo, temporale, proietta la sfida decisiva all’inìzio del 2008; il secondo evidenzia come la durezza dello scontro sia acuito dal nodo della riforma sul sistema di voto. «E se qualcuno pensa che stiamo scherzando, si sbaglia», spiegava ieri il capogruppo di Rifondazione Migliore al collega dell’Udeur Fabris: «Ci siamo rotti i e…».
Per meglio dire si sono rotti i rapporti politici. Con Prodi «ma anche» con Veltroni, se è vero quanto ha raccontato il democratico Filippeschi lasciando l’Aula di Montecitorio: «I deputati del Prc ormai sospettano di noi. Dicono che vorremmo metterli a gennaio dinanzi al fatto compiuto, conuna legge elettorale capestro da accertare con la prospettiva del referendum da subire. Ci accusano, insomma, di voler provocare le elezioni anticipate che loro assolutamente non vogliono». Le urne sono un vero terrore per i partiti della Cosa Rossa, lo s’intuisce dallo sconforto del verde Cento, secondo il quale «siamo andati alla trattativa sul Welfare con un’arma giocattolo, mentre Prodi aveva la pistola carica»: «A gennaio perciò la sinistra movimentista dovrà riacquistare autonomìa politica. L’Unione è finita».
Per capire in che condizioni versa l’alleanza, bastava sentire i discorsi -pronunciati dai leader comunisti nel dibattito per la fiducia a Montecitorio. Talmente violenti verso Prodi, che il capogruppo del Pd Soro è arrivato a dire: «Il governo non meritava dì essere trattato così dalla sua maggioranza». Traduzione: la crisi dopo la Finanziaria va messa in conto. Ipotesi che Bertinotti nei colloqui riservati non accantona. Nella sinistra massimalista è giunta dunque l’ora del «si salvi chi può», e per salvarsi da Prodi è l’ora di prenderne le distanze: così vanno interpretate le dimissioni del presidente della commissione Lavoro della Camera, il pdci Pagliarini. In gioco c’è la sopravvivenza delle ditte. Da quando il Cavaliere è passato dàlia logica della spallata a Prodi alla logica dell’abbraccio con Veltroni, si è scatenato il finimondo nella maggioranza, dove Io schema delle «mani libere» è diventato una moda. Ieri il capo dei Socialisti Boselli è arrivato ad attaccare il telefono al premier, «che non può pensare di tirare a campare ma deve governare». Nessuno intende «morire per Prodi», come nessuno intende consegnare il proprio futuro nelle mani di Veltroni con la legge elettorale. Perché non è solo la Cosa Rossa a diffidare del leader democratico, se è vero che il gruppo del Senato guidato da DM e Bordon starebbe meditando dì far saltare «il nuovo inciucio»: per rompere lo schema in base al quale «con il Cavaliere dialoga solo Walter», si appresta a chiedere incontri ufficiali con i leader dei due schieramenti, con tanto di nuova proposta di riforma elettorale proporzionale. Vedete Berlusconi non è più un tabù da quando nell’Unione è in gioco la sopravvivenza.