La Cosa rossa aspetta Prodi e si divide su Cipputi

A voler fotografare l’incontro di oggi tra i segretari della Cosa rossa e il premier si potrebbe dire: un documento, quattro tattiche. A voler prevedere il futuro si potrebbe dire soltanto: quattro tattiche. Punto. Pure a proposito della questione operaia, sulla quale la sinistra-sinistra dovrebbe avere delle importanti parole comuni da spendere. Specie in tempi in cui, per ruolo o per convinzione, ne (riparlano quasi tutti, almeno da quando la tragedia della Thyssen sembra aver fatto riscoprire (a molti) l’esistenza di una figura che sembrava scomparsa dal lessico politico: l’operaio, appunto. «Dobbiamo tornare in prima linea. Dobbiamo tornare con fatica a sporcarci le mani con le condizioni del lavoro» ammoniva (la sinistra e anche il sindacato) sabato su Repubblica Guglielmo Epifani. Gli faceva eco Fausto Bertinotti il giorno successivo, sempre dalle colonne di Repubblica: «Dal referendum sulla scala mobile in poi i lavoratori sono diventati come invisibili, la classe operaia come scomparsa dalla scena del paese. Bene, è ora di riaprire una grande e certo complessa e impegnativa discussione sul ruolo e sul destino dei lavoratori, e di portata più ampia rispetto al nodo irrinunciabile degli aumenti salariali».
Cosa c’entra la verifica con la questione operaia? C’entra, eccome. Perché, al di là dei documenti, (importanti s’intende) e al di là della tattica (sacrosanta, ci mancherebbe), quelli che dal palco della Nuova Fiera di Roma si proclamavano rappresentanti politici delle tute blu che furono, o del Cipputi post-moderno che sarà, un punto di vista comune – sul lavoro – non ce l’hanno. Emblematico il fatto che non riescono a mettersi d’accordo sulla conferenza operaia che Rifondazione sta organizzando per il 9 febbraio a Torino. In che senso? Il partito di Bertinotti va avanti come un treno – certo col suo punto di vista – anche a dispetto della collegialità nella Cosa rossa. E gli altri? Si lamentano della mancanza di collegialità e tirano il freno. E la Cosa arcobaleno pare il Titanic in attesa del prossimo iceberg. All’iniziativa di Torino seguiranno altre assemblee di lavoratori, sempre organizzate da Rifondazione, a Milano (sul lavoro in Europa), a Roma (sul pubblico impiego), a Napoli (sulla nuova economia del Mezzogiorno), a Palermo (sul lavoro nel regno dell’illegalità). Dice il responsabile economico Maurizio Zipponi: «Vogliamo parlare di cosa significa essere operai oggi. Per noi quella parola va declinata in relazione alle grandi trasformazioni del lavoro. Gli operai di oggi sono i lavoratori dei cali center o degli ipermercati, o anche una parte del popolo delle partite Iva. Il nostro obiettivo, nelle assemblee che promuoveremo, è parlare delle condizioni materiali del lavoro in Italia ed elaborare proposte politiche: a partire da un libro bianco sul mercato del lavoro». E gli alleati? Dice il capogruppo dei Verdi Angelo Bonelli: «Non so cosa sia la conferenza operaia. Noi non siamo stati nemmeno invitati. Tra l’altro il mondo del lavoro per noi è più articolato. Ci sono gli operai certo, ma anche gli autonomi, il terziario. Serve più attenzione su tutto». Pure il Pdci dice di non saperne niente. E Sd avrebbe preferito prima la condivisione di una piattaforma comune sul lavoro.
Già, un punto di vista comune: anche a volerlo cercare è difficile trovarlo. Non resta che la tattica. Anzi le quattro tattiche: quelle di oggi sul programma di governo e quelle di domani (sulla bozza Bianco) quando ogni partito si troverà a decidere del proprio prìmum vivere. Oggi i segretari della Cosa rossa presenteranno al premier le loro richieste sulla verifica. Ma ognuno gioca una sua partita. Il documento: cinque cartelle per chiedere un’inversione di rotta su salari, lotta alla precarietà, ambiente, welfare, diritti. Le partite: Rifondazione si gioca la carta di lotta e di governo ed è pronta a votare sì alla bozza Bianco modificata, Verdi e Pdci sono pronti a votare no (e non prendono neanche in considerazione l’uscita dal governo), Sd media. Che non tiri aria di rottura (con Prodi), almeno per ora, lo si capisce dal fatto che alcune richieste il premier le ha già fatte proprie nel primo incontro tra le forze di maggioranza. Su tutte, la centralità della questione salariale e l’armonizzazione al 20 per cento delle rendite finanziarie. Certo, c’è il capitolo precarietà su cui Rifondazione non cede di un millimetro (vai al capitolo: legge Biagi) o quello sulla riduzione delle spese militari, per non parlare della richiesta di una moratoria sulla base di Vicenza: tutte richieste cui, realisticamente, il governo non potrà andare incontro. E c’è il referendum di Rifondazione: il Prc si riserverà di valutare la permanenza al governo chiamando a raccolta gli iscritti sull’esito della verifica. Ma, almeno finché sul tavolo c’è la legge elettorale, Giordano non ha alcuna intenzione di rompere. La via d’uscita (dal governo) è comunque pronta: il referendum tra gli iscritti appunto. Per ora si aspetta. E ci si divide pure su Cipputi.