Il sistema di commissioni militari creato per giudicare i detenuti di Guantanamo è contrario alla legge americana e alle Convenzioni di Ginevra: questo è il cuore della sentenza emessa ieri dalla Corte Suprema degli Stati uniti, che in pratica demolisce il castello costruito dall’amministrazione Bush per dare una giustificazione legale allo scandalo di Guantanamo. Per la precisione, la Corte ha sentenziato che nel creare quei tribunali speciali, in cui non è garantita la protezione legale normalmente offerta dai tribunali militari, il presidente George W. Bush è andato oltre i suoi poteri.
Le commissioni militari furono create subito dopo che – con l’invasione dell’Afghanistan – i prigionieri cominciarono ad affluire a Guantanamo, una piccola parte di loro catturati dai soldati americani e i più (oltre il 90 per cento) «consegnati» da gente che voleva intascare i dollari generosamente offerti. L’amministrazione dichiarò che non si applicavano loro le Convenzioni sui progionieri di guerra e scartò sia l’idea dei tribunali civili sia quella delle corti marziali militari. Coniò il termine «combattenti nemici» e decise che a processarli dovevano essere per l’appunto le commissioni militari, un ibrido. Anche così, però, la cosa non funzionava, tanto che a tutt’oggi sono stati solo dieci (su un totale di settecento, atualmente ridotti a 450 circa) i detenuti entrati nella procedura delle commissioni militari.
Fra questi dieci c’è Salim Ahmaed Hamdan, un uomo di 36 anni indicato come ex autista di Osama bin Laden: il «caso» su cui la Corte Suprema si è appena pronunciata si chiama «Hamdan contro Rumsfeld», cioè il segretario della Difesa. A Hamdan è stato assegnato un avvocato d’ufficio nella persona dell’ufficiale di marina Charles Swift, con il compito di convincere il suo assitito a dichiararsi colpevole e patteggiare la pena con la commissione militare. Swift invece finisce per contestare la legittimità delle commissioni militari. La sua battaglia lo porta alla Corte d’Appello federale, che si schiera dalla parte di Bush: sicché Swift – che nel frattempo ha studiato l’arabo e la tradizione islamica per «comunicare al meglio» col suo assistito e ha creato una specie di team di giuristi di grande valore – si rivolge alla Corte Suprema, il cui presidente intanto muore e al suo posto Bush ha nominato John Roberts, cioè uno dei membri della Corte d’Appello che si è già pronunciata contro il suo assistito Hamdan (e infatti, come vuole la prassi, non si è espresso nel verdetto di ieri).
La Corte Suprema ha dato ragione a Hamdan con cinque voti contro tre. Si pronunciano a favore i quattro liberal: Paul Stenvens che ha scritto la sentenza, David Souter odiatissimo dai repubblicani perché è stato nominato da Bush padre e poi lo ha «tradito», Ruth Bader Ginsburg e Stephen Breyer, ai quali si aggiunge il fluttuante Anthony Kennedy. Votano contro il «re» dei conservatori Antonin Scalia, Clarence Thomas che ha compiuto l’inusuale gesto di leggere in aula le sue motivazioni «di minoranza» e Samuel Alito, l’ultimo nominato da Bush.
Ieri mattina dunque Charles Swift ha sceso la scalinata dell’edificio della Corte Suprema sventolando la sentenza, ma il suo entusiasmo è stato piuttosto contenuto, come si conviene a un militare. «E’ una vittoria di tutti gli americani perché significa che non dobbiamo avere paura di ciò che siamo. Come ufficiale ho grande rispetto per il presidente Bush, ma credo che sia mio dovere far presente quanto il comandante in capo sbaglia».
Una vittoria di tutti, perché la sentenza va ben oltre il caso di Salim Ahmed Hamdan. A saltare è infatti l’intero concetto dei «nemici combattenti» e di come devono essere trattati. Se infatti è vero che il quesito posto alla Corte Suprema riguardava specificamente la legittimità delle commissioni militari e quindi la sentenza di ieri non accenna a quelli che sono detenuti senza ancora sapere il perché, è anche vero che da questa sentenza la posizione dell’aministrazione Bush esce enormemente indebolita. Del resto, non era stato proprio il presidente a ripetere svariate volte nelle ultime settimane che lui Guantanamo «voleva chiuderla» e che «aspettava la Corte Suprema», come se l’esistenza di quella prigione dipendesse dai giudici?
Il presidente Bush ieri ha commentato in modo evasivo la sentenza: ha detto che esaminerà «molto seriamente» la sentenza e «lavorerà con il Congresso» per trovare una soluzione. Già, il Congresso. Finora il suo sostanziale esautoramento ha avuto la complicità dei suoi stessi membri (principalmente repubblicani ma anche democratici) che hanno di fatto abdicato alle prerogative di controllo dell’esecutivo che la Costituzione assegna loro.