La Corte dei Conti: giù le mani dal “tesoretto”

Insediamento solenne ieri a Roma, nella sede della Corte dei Conti, di Tullio Lazzaro, presidente della giustizia amministrativa italiana, in una cerimonia alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano e del presidente del Consiglio Romano Prodi.
Cerimonia che è anche un rito: quello della lettura della relazione del nuovo presidente, incentrata sull’analisi dello stato dei conti nazionali, che quasi sempre – anche ieri – è suonata come una doccia fredda: un sonoro ridimensionamento non solo degli entusiasmi tributari degli ultimi mesi, ma anche dei numeri particolarmente favorevoli che giusto ieri l’Agenzia delle Entrate e il Ministero del Tesoro ci hanno propinato, facendo sperare l’intero Paese in un prossimo alleggerimento della pressione fiscale per mezzo del cosiddetto “tesoretto” che sembra destinato a lievitare ancòra grazie alle severe politiche finanziarie del ministro Padoa Schioppa e ai rigori fiscali del viceministro Visco.
Il supremo magistrato contabile ha invece pronunciato un discorso molto cauto sui conti pubblici e alcune valutazioni “eccentriche” sulle pensioni: «Al momento c’è da prendere atto che il debito è diminuito e il Prodotto interno lordo è in aumento – ha detto Lazzaro – ma occorre che queste condizioni vengano consolidate: non possiamo dormire sugli allori», perché nel 2006 ben 16 province e 522 comuni «non hanno impostato il bilancio in modo da rispettare il Patto di stabilità interno, e corrono il rischio di incappare nelle sanzioni previste per chi sfora il tetto di spesa».
Oddio, per la verità 16 provincie su 107 sono meno del 15% e 522 comuni su 8.101 il 6,4. Significa che l’85% delle provincie e il 93,6 dei comuni – la stragrande maggioranza – ce l’hanno fatta a rispettare il patto interno, anche con la Finanziaria del 2006 che non è stata di certo generosa con le amministrazioni locali. Un risultato virtuoso dunque. Che però il Tribunale amministrativo addita perché «le sanzioni previste che sono state nel frattempo abrogate potrebbero innescare aumenti di spese con possibili effetti negativi da parte dell’Unione europea, e costituiscono un pessimo esempio per gli enti che hanno rispettato il patto».
Rigore e ancora rigore, allora, mentre «la Corte dei Conti definisce i programmi e i criteri di riferimento del controllo, sulla base delle priorità deliberate dalle competenti Commissioni parlamentari», in attesa di «un disegno costituzionale che imponga al governo di chiedere il parere preventivo alla Corte in questioni attinenti alla finanza pubblica».
Un vero e proprio discorso da gran burocrate di Stato, di rappresentante forte dei poteri forti. Per Tullio Lazzaro, infatti, «le maggiori entrate fiscali, che indubbiamente ci sono, andrebbero usate per meglio consolidare la riduzione del debito ed anche per lo sviluppo dell’economia, o con gli sgravi alle imprese – ha detto il nuovo presidente – o aumentando il potere di acquisto per i cittadini».
Ma il chiodo fisso sono i conti pubblici, il cui risanamento «al momento è dovuto alle maggiori entrate, per il 50% frutto dei maggiori controlli da parte dell’amministrazione, ci vuole però ancora una grossa attenzione alle spese in settori sensibili come la sanità».
Cambiano gli uomini, ma il “sentiment” che muove i “guardiani dei conti” non cambia. Tanto che l’ex viceministro dell’Economia Adolfo Urso ha approvato: «Il richiamo della Corte dei conti è giusto e appropriato – ha detto l’esponente di An – una vera e propria sconfessione delle idee balzane di alcuni esponenti del governo sull’uso del “tesoretto”».
E infatti, dal presidente della Corte arriva puntuale anche il giudizio su un altro “settore sensibile” come quello delle pensioni: «L’Italia è all’ultimo posto in Europa per l’età pensionabile. Abbiamo l’età più bassa. Va trovata una soluzione ma non tocca a me indicarla».
L’età media del ritiro dal lavoro è in linea con la media europea, precisa Luigi Angeletti: «Se si parla di età legale la Corte dei Conti ha ragione, in Italia è più bassa – afferma il segretario della Uil – ma se si considera l’età media effettiva, cioè quella in cui gli italiani smettono davvero di lavorare, noi lavoriamo un po’ più dei francesi e un po’ meno dei tedeschi, quindi siamo in linea con ciò che avviene nel resto d’Europa».
Resta al lavoro oltre la data prevista una grande fetta di lavoratori, ha detto il leader sindacale, «perché le pensioni sono molto più basse dei salari. Io sono dell’idea di arrivare a un’intesa per lasciare libere le persone di scegliere quando andare via dal lavoro, motivandole a restare con incentivi salariali o fiscali, ma con l’impegno – ha concluso – se l’età effettiva di pensionamento si rivelasse più bassa della media europea, di alzarla automaticamente».
Come si faccia a passare dal maggior gettito tributario e da un tesoretto casomai da redistribuire all’innalzamento dell’età pensionabile rimane per i più un mistero insondabile.