La concertazione, che stenta a partire sui temi di politica economica generale dinanzi al dilemma del risanamento e dei tagli alla spesa, per il mezzogiorno è già realtà. Lo dimostra l’entusiasmo nei commenti dei partecipanti al Tavolo sul Sud, aperto ieri a Palzzo Chigi, alle presenza di 9 ministri, 8 presidenti di regione, dei tre segretari confederali e del presidente di Confindustria. Ma gran parte del lavoro di mediazione era già stato avviato, con la scrittura di ”Insieme per lo sviluppo, le priorità del mezzogiorno“, quasi trenta pagine che governatori, imprenditori e parti sociali avevano presentato al Consiglio Nazionale Economia e Lavoro. Di quel programma di “rinascita” per la metà malata d’Italia il governo ha deciso di assumere tutte le priorità: il rilancio e la razionalizzazione delle infrastrutture e dei trasporti, la sistemazione urbanistica ed economica delle aree metropolitane, gli investimenti in ricerca e innovazione, la fiscalità di vantaggio. Su ognuno di questi temi si aprirà un tavolo di lavoro che, sotto il coordinamento della presidenza del Consiglio, dovrà concludersi entro il 30 settembre. Perché il mezzogiorno non può attendere: le misure di rilancio andranno inserita già nella prossima finanziaria, proprio quella dalla quale Tommaso Padoa Schioppa ha deciso di trattenere per l’Europa 35 miliardi. Di miliardi, per il Sud, le parti sociali ne chiedono otto. «Un obiettivo pienamente alla nostra portata», spiega Franco Garufi, responsabile Mezzogiorno della Cgil. In parte giungeranno dai fondi strutturali dell’Ue, che nella prossima trance di finanziamenti (2007-2013) dovrebbero garantire un ìimporto di quasi 25 miliardi, nonostante la fuoriuscita dalle regioni Obiettivo 1 di Abbruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna. Solo dal 2013, a causa dell’allargamento all’est dell’Ue, i fondi diminuiranno sensibilmente. E per quella data molto dovrà già essere fatto. Poi ci sono i finanziamenti Fas (Fondo per le Aree Sottoutilizzate) «denaro utilizzato dal governo Berlusconi solo per una politica di annunci, giunta fino al punto di tagliare i nastri per opere 7 o 8 volte superiori a quelle realmente sostenibili», continua Garufi. Per il resto si dovrà intervenire con la fiscalità generale, in modo da invertire il trend negativo che prodotto una repentina diminuizione dei fondi investiti nel mezzogiorno duranti i bui anni di Berlusconi: dal 42% del 2002 si è scesi fino al 36,7% del 2006. Per il Dpef approvato dalle camere l’obiettivo è ancora il 42%.
Il tema più contrastato rimane quello della fiscalità di vantaggio, su cui pesa anche il rischio di un “no” dell’Europa. Pericolo che viene subito stigmatizzato dal viceministro D’Antoni, che ricorda come Francia, Gran Bretagna e Irlanda si siano avvalse di misure simili: «Non vedo perchè il nostro mezzogiorno non possa fare lo stesso» dichiara l’esponente siciliano del governo. La proposta in campo è un aumento del cuneo fiscale per il sud, con lo scopo di «redistribuire una misura che altrimenti avvantaggerebbe solo il Nord, dove si trova l’80% delle imprese». Lo afferma Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, che parla di “raddoppio” (mentre molto più cauta è la Cgil). Se ne riparlerà fra poche settimane, senza dimenticare il monito di Prodi: «dev’essere garantita l’efficacia di questa politica nel garantire maggiori investimenti e nuove localizzazioni di imprese esterne». Non contributi “a pioggia”, dunque, ma precise misure, «selettive e coordinate». Una proposta che trova il pieno accordo di Salvatore Bonadonna, responsabile mezzogiorno del Prc: «Finalmente si comincia ad applicare il programma dell’Unione», dice il senatore di Rifondazione. «Giusto escludere interventi che potrebbero favorire il trasferimento nel mezzogiorno di imprese marginali, magari decise a sfruttare i differenziali salariali. Al contrario è necessario puntare su imprese che nel sud mettano radici investendo in ricerca e innovazione, nello sviluppo delle reti e di produzioni sostenibili da un punto di vista ambientale». Tra i tavoli che si apriranno nei prossimi giorni riveste una grande importanza quello sulle infrastrutture (su cui si prevedono investimenti di 4 miliardi), e sul recupero delle città, vittime dell’abusivismo e della speculazione, dove si registrano sempre più gravi fenomeni di emarginazione sociale. Dai tavoli sembra emergere la consapevolezza, per nulla scontata, che la “questione meridionale” è in realtà una “questione nazionale”; che senza uno sviluppo del sud non è possibile la crescita economica per l’intero paese; che non è più possibile rinviare un piano coerente che arresti la forbice che negli ultimi anni ha allontanato le due metà del paese. Forse Nord e Sud, domani, tornaranno ad essere più vicini.