La cittadinanza non cambia poi molto se rimane l’impianto della Bossi-Fini

Critici, fortemente o meno, ma il decreto sulla cittadinanza non smuove più di tanto il mondo delle associazioni anti-razziste e dei migranti. C’è ancora tanta strada da fare anche se la direzione è quella giusta.
«La proposta di Amato è buona e porterà cambiamenti concreti nel giro di due anni – dice il responsabile immigrazione dell’Arci Filippo Miraglia – Introducendo un elemento di normalità per i migranti l’Italia dimostra, dopo aver “accumulato” stranieri a ritmi elevatissimi, di voler stare al passo con l’Europa».

Severo invece il commento di Felice Mometti, del tavolo migranti: «Non mi sembra una grande innovazione. Se da un lato si riprende la Turco-Napolitano, dall’altro, in materia di cittadinanza non si supera la Bossi-Fini che delega ai datori di lavoro il diritto di dispensarla tenendo legato contratto e permesso di soggiorno. Vi ricordate? Prima del ’92 era il presidente della Repubblica a stabilire chi potesse diventar italiano. Oggi ci pensa il ministero degli Interni e ci sembra una vittoria, ma perché? Se si fosse raggiunta l’uguaglianza e la parità di diritti se ne occuperebbero direttamente gli enti locali come avviene per gli italiani. L’iter burocratico è lungo e lento. Il decreto fa riferimento a un requisito reddituale non inferiore a quello richiesto per il rilascio del permesso di soggiorno e, in linea con Germania o Francia, si parla inoltre di test di verifica del grado di integrazione e padronanza della lingua italiana da parte degli stranieri. Tralasciando il fatto che neppure io mi sento integrato in una società che si regge sul profitto, aggiungo che non può esserci vera integrazione senza partecipazione all’attività sociale e politica del Paese. Il decreto flussi-bis? Un’ipocrisia – continua Mometti – Stabilire delle quote d’ingresso serve solo a contenere l’allarmismo degli italiani. Il discorso dei nascituri? Sarebbe completo se fosse rispettato solo lo ius soli e abolito del tutto lo ius sanguinis ma per ora non è così».

Preoccupato Fulvio Vassallo Paleologo dell’ Asgi, Associazione studi giuridici sull’immigrazione: «Temo che il provvedimento, che ancora deve passare l’esame di camera e Senato, sia stato enfatizzato. Soprattutto resto allibito di fronte alla reazione di Calderoli che minaccia di allenarsi al tiro al piattello durante l’estate per poi combattere contro proposte come questa. Gli stessi cittadini italiani dovrebbero ribellarsi a una tal forma di violenza da parte di An e Lega. Perché non lo fanno?».

Meno critico, ma d’accordo sull’ipocrisia delle quote, Andres Barreto, responsabile Arg per l’immigrazione: «La direzione del Governo è quella giusta ma il percorso è ad ostacoli e bisogna lavorare a livello regionale seguendo i migranti nei loro municipi. C’è una mia amica di vent’anni nata in Italia da genitori stranieri. A 18 anni ha richiesto la cittadinanza ma l’impiegato l’ha rimandata a casa. Scoraggiata, ha lasciato passare un anno e ha perso la sua occasione. Ora, essendo studentessa, non percepisce reddito e le possibilità di essere equiparata per legge ai suoi coetanei italiani si affievoliscono».

Simile a questa la storia che ci racconta Mercedes Frias, deputata italiana, nata a S. Domingo: «Noi puntavamo ad accorciare a tre anni, ma il vero problema non è il tempo, è la burocrazia. Per me che ho sposato un italiano non ci sono stati problemi ma mia sorella, residente in Italia da sedici anni e che al decimo ha chiesto la cittadinanza, sta ancora aspettando. Il Ministro ha parlato di diritto e non di concessione quindi bisogna evitare il ripetersi di simili situazioni di precarietà e disagio per gli stranieri. Vorrei che gli italiani capissero che il programma dell’Unione, che io condivido, non costituisce una limitazione alla loro stessa “italianità”. L’identità non si costruisce per differenza, si possiede. Finchè in Italia ci saranno onorevoli che si permetteranno di chiamare i tre milioni e mezzo di stranieri residenti in Italia dei “Bingo Bongo”, temo sia inutile parlare di flussi, quote, nascite».

E’ proprio sulla questione del riconoscimento di cittadinanza per nascituri e ragazzi di seconda generazione che si batte il network G2 (www. nuovegenerazioni. it). Paula Baudet Vidanco, nata da genitori cileni e ancora sprovvista di cittadinanza nonostante sia in Italia da quando aveva sette anni, si dimostra soddisfatta del segnale lanciato dal ministro Amato,
ma sottolinea che chi fa le leggi dovrebbe sempre ascoltare i diretti interessati. «Per loro è necessario delineare percorsi diversi a seconda delle esigenze individuali e abbattere l’assurda connessione tra cittadinanza e reddito nel caso di giovani stranieri impegnati negli studi».

Secondo le analisi del “Dossier Statistico Immigrazione Caritas” che analizza, distintamente, adulti e minori stranieri, si arriva ad un totale di 900mila adulti potenziali richiedenti cittadinanza perché tra le prime generazioni di emigrati non tutti vogliono la cittadinanza del paese di accoglienza, specialmente quando questa non è cumulabile con quella del paese di origine. Bisogna poi tenere conto che una cosa è il soggiorno legale e un’altra la residenza anagrafica, la quale non di rado si ottiene con ritardo.

In Europa sono 600mila gli stranieri che annualmente ottengono la cittadinanza di uno degli Stati membri, all’incirca il 3% della popolazione straniera sul posto: in Italia non si tratta attualmente neppure dell’1%.