La Cina Insiste: soluzione politica alla crisi irachena

Pechino: prioritario il ritorno degli ispettori. Improbabile un baratto fra il sì alla guerra di Bush e un via libera all’annessione di Taiwan

Jiang Zemin vuole avere voce nelle vicende mediorientali per non essere tagliata fuori dal controllo delle risorse energetiche in quell’area
A fine mese il leader del grande paese asiatico si recherà in Texas per incontrare il presidente degli Stati Uniti
Il Quotidiano del popolo: con la guerra al terrorismo in realtà Washington mira ad installarsi in Asia centrale

La Cina insiste perché si trovi una soluzione politica alla crisi irachena. «Al momento la priorità è ottenere il ritorno degli ispettori in Iraq – ha detto ieri un portavoce del ministero degli Esteri -e cominciare a lavorare piano piano. Gli interventi del Consiglio di sicurezza dovrebbero essere rivolti a questo scopo e promuovere una soluzione politica».
Irritata per essere stata ignorata nei due incontri a quattro -Unione Europea, Russia, Onu e Stati Uniti dedicati tra luglio e settembre alla questione irachena, e preoccupata di essere tenuta ai margini nonostante sia uno dei cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza, la Cina vuole giocare le sue carte con più dinamismo e aggressività. Siamo pronti a svolgere un ruolo attivo nella vicenda mediorientale, ha detto a metà settembre il portavoce del ministero degli esteri. Appena qualche giorno dopo ecco il colpo di acceleratore con la nomina di Wang Shijie, un diplomatico di carriera, come inviato speciale in Medio Oriente. Che si trattasse di una svolta lo ha spiegato il commento che il Quotidiano del popolo ha dedicato alla notizia. Naturalmente oggi più nessuno in Cina e fuori crede alla sacralità dei testi del giornale del partito. Ma pur sempre del giornale del partito si tratta e dunque a quelle sue osservazioni un valore bisogna pure assegnarlo. Ecco allora che ci è stato spiegato che la Cina intende avere una iniziativa più incalzante nell’area di maggiore concentrazione petrolifera per dimostrare la propria amicizia agli stati arabi e per poter contare su una più larga fetta di quel mercato energetico. Ma il quotidiano del partito aggiunge qualcosa di più prendendo di mira gli Stati Uniti che attraverso la guerra al terrorismo mirano a installarsi Asia e con l’intervento militare contro Iraq puntano a rafforzare la propria egemonia. Per la Cina il solo modo per «contenere» gli Usa sta appunto nel rafforzare il proprio ruolo in Medio Oriente.
La denuncia dell’egemonismo Usa è in realtà uno dei leit inotiv della propaganda e della politica cinesi. Ma questa volta ha avuto in qualche modo un tono stonato perché sembrava smentire o almeno ridimensionare i passi in avanti di questi mesi nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti. A maggio Hu Jintao, probabile nuovo segretario del partito, era stato in America e agli occhi dei cinesi quella visita era suonata come un successo. Più di recente Jiang Zemin si era maggiormente esposto dichiarando che erano «in buono stato» i rapporti tra i due paesi. E sempre Jiang Zemin si appresta il 25 prossimo a incontrare Bush nel ranch del Texas. Anzi per permettergli di presentarsi all’appuntamento nella pienezza delle sue cariche, il congresso del partito è stato spostato aIl’8 novembre.
In che misura nel ranch texano peserà la nuova assertività cinese? Dopo 1’11 settembre 2001 1a Cina non ha sottovalutato il rischio del terrorismo, è stata tra i firmatari della dichiarazione di Shanghai e ha puntato molto sull’accordo con la Russia e le ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale per un impegno comune. Il 7 giugno scorso a San Pietroburgo un nuovo documento sembra aver consolidato questo impegno. In realtà 1a Cina era convinta che la lotta al terrorismo sul suolo asiatico fosse un affare dei paesi dell’area. Il precipitare della crisi irachena è stato un brusco risveglio al quale si è aggiunta la delusione cinese per lo spostamento delle cinque repubbliche ex sovietiche verso l’area di influenza degli Stati Uniti. Mutate dunque le carte in tavola, anche la Cina si è vista costretta a agire. Da sempre Pechino si è appellata ruolo dell’Onu. Lo ha fatto anche questa volta e ha sostenuto la posizione irachena di «ispezioni senza condizioni». Il ministro degli esteri Tang Jicxuan ha continuato a insistere sulla «soluzione politico-diplomatica» nel rispetto della «integrità, sovranità sicurezza dell’lraq». Tang non si mai avventurato ovviamente in ipotesi successive all’eventuale fallimento diplomatico e ispettivo.
Il già citato testo del Quotidiano del popolo sembra essere il segnale di una forte tensione nel partito. Esiste in Cina tra gli intellettuali e in alcune fasce del partito una tendenza che preme perché la forza economica venga spesa per una politica più assertiva nei confronti degli Stati Uniti, per colpirne e limitarne «l’egemonismo». Paradossalmente ai vertici il più filoamericano risulta essere proprio Jìang Zemin. E dunque che cosa dirà a Bush il 25 prossimo? Gli Usa hanno fatto alla Cina un grosso favore inserendo nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali I’East Turkistan Islamic Movement, dando così mano libera a Pechino per la repressione dei musulmani indipendentisti nella regione del Xingjiang. Ma è troppo poco questo regalo- che la Cina ha mol to apprezzato- perché Pechino possa ammorbidire la sua posizione sul Iraq prestando un orecchio più attento alle argomentazioni americane nell’ipotesi di una scalata della tensione.
Alcuni commentatori hanno anche ipotizzato come probabile merce di scambio il via libera degli Usa alla Cina per la riconquista (anche per vie militari?) di Taiwan. Ma questo sarebbe un regalo troppo grande. Gli Usa non solo dovrebbero rivedere l’accordo che li lega all’isola da decenni. Ma dovrebbero anche essere disposti a rinunciare a una presenza che oggi li autorizza a pattugliare quel tratto di mare che porta all’Oceano Pacifico, che bagna Giappone, ed è sempre stato visto come vitale per gli interessi americani. Il tutto appare molto poco probabile. Più realisticamente si può ipotizzare che la Cina – e quindi Jiang nell’incontro con Bush in Texas – pretenda di avere un vìsibilissìmo posto a tavola in tutti i successivi passi che si faranno sulla questione irachena e mediorientale. Ma è anche probabile che Jiang chieda garanzie per la situazione in Asia centrale, dove la Cina si sente assediata. dalla presenza americana. E chieda garanzie anche per i rifornimenti petroliferi. Il miracolo economico cinese ha svelato la fragilità energetica del paese il suo disperato sogno di fonti estere. In questi ultimi mesi ci sono stati nell’area centro-asiatica due grosse iniziative: la firma tra Afghanistan, Pakistan e Turkmenìstan per la costruzione del gasdotto, protagonista assoluto dì tutti i libri che si sono scritti sulla guerra contro Al Queda; l’accordo dì cooperazione energetica firmato in maggio a Mosca tra Russia e Stati Uniti. In queste due iniziative la Cina non è stata coinvolta. È probabile che voglia allora entrare nel gioco petrolifero, vitale per il suo futuro.