La Cina e la rivoluzione d’Ottobre

7 novembre 2009: anniversario della Rivoluzione d’Ottobre e tempo di utili bilanci. La domanda principale per i comunisti è se, dopo nove decenni, continui ancora la spinta propulsiva dell’Ottobre Rosso.

Crediamo che la risposta sia positiva, per i processi sociopolitici che si stanno sviluppando sia in America Latina (Cuba socialista in testa, ma anche Venezuela e Bolivia) che in Asia, con l’espansione multilaterale della Cina Popolare.

“Ma non è certo socialista, la Cina”, affermano in molti all’interno della sinistra antagonista.

Non siamo d’accordo, anche perché i fenomeni che si stanno verificando in Cina dal 1977 fino ad oggi non sono altro che una riproduzione creativa ed aggiornata, come ha notato giustamente Sergio Ricaldone due mesi fa, della NEP (Nuova Politica Economica) introdotta da Lenin nel 1921 nella Russia Sovietica. Uno degli esempi più evidenti dell’effetto di sdoppiamento nella storia contemporanea, tra l’altro, con la coesistenza conflittuale (a parità di sviluppo qualitativo delle forze produttive) di rapporti di produzione collettivisti da un lato, e di relazioni sociali di produzione capitalistiche dall’altro, nella stessa nazione e nella stessa formazione economico-sociale:URSS del 1921/28, ed in seguito Cina del 1978/2009. (1)

Nella Cina contemporanea l’egemonia viene mantenuta in ogni caso dalla “linea rossa” socioproduttiva, come emerge anche da due recenti articoli scritti da sinceri …anticomunisti ed antimarxisti, che vale la pena di socializzare.

Tang Xiangyang, sulla rivista Economic Observer News del settembre 2009, ha preso in esame l’elenco che viene diffuso ogni anno in Cina sulle 500 principali aziende del paese, pubblicato a partire dal 2002 da un organismo che comprende al suo interno anche tutte le principali imprese private, autoctone o estere, che operano in Cina.

Tang Xiangyang ha dovuto intitolare il suo articolo “I monopoli di stato dominano la top 500 della Cina”, notando subito che durante il 2008 tutte le prime 43 posizioni nell’elenco in oggetto erano occupate… da aziende, industrie e banche statali, completamente o a larga maggioranza in mano al settore pubblico. Le imprese private e i monopoli capitalistici, tanto decantati in occidente, svolgevano il ruolo di “cenerentola” nel processo produttivo cinese, tanto che Tang Xiangyang era costretto a rilevare con una certa angoscia come la più grande azienda privata cinese, la Huawei Tecnologies con base a Shenzen, occupasse solo il 44° posto nella lista; dato ancora peggiore per il povero Tang, ed elemento socioproduttivo su cui ritorneremo, solo un quinto e solo cento delle “top 500? in Cina erano aziende capitalistiche, la cui percentuale sull’importo globale delle vendite ottenute nel 2008 dalle prime cinquecento imprese risultava pari a un deludente … 10%, ad un modesto decimo del reddito globale espresso dalle prime 500 aziende nella Cina del 2008. (2)

A sua volta Dick Morris, giornalista di sicura fede anticomunista, nel luglio del 2009 intitolava un suo articolo dal titolo “Il socialismo non funziona-nemmeno in Cina”, lamentandosi (dal suo punto di vista) che in Cina ben l’80% di tutte le attività di investimento venisse finanziata da banche statali, in tutto o in larga parte di proprietà pubblica, e che (orrore ancora maggiore) le imprese di stato cinesi esprimessero ben il 70% dell’insieme globale degli investimenti di capitali in Cina

Percentuale tra l’altro in crescita progressiva dal 2007, protestava con vigore l’indignato Dick Morris, e che ingiustamente favoriva la “triste storia del settore socialista in Cina”, sempre a giudizio del pubblicista occidentale. (3)

Quarantatre società statali ai primi quarantatre posti nella “top 500?, il 70% degli investimenti produttivi cinesi provenienti dalle imprese pubbliche nel corso del 2008: anche a prima vista, non si tratta certo di “residui” socioproduttivi di marca socialista dei (presunti) “bei tempi passati”.

– all’interno delle 500 più grandi imprese cinesi, industriali/bancarie/commerciali, 349 sono totalmente o prevalentemente di proprietà statale

– la proprietà del suolo in Cina rimane pubblica

– in Cina continua a svilupparsi, a fianco di quella statale, un gigantesco settore cooperativo sia nelle campagne che nelle città

– la Cina ha accumulato nell’agosto del 2009 circa 2300 miliardi di dollari in valuta e titoli stranieri, un “tesorone” di proprietà statale equivalente a più di metà del PNL nominale della Cina.

Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, rimandiamo al testo su “Cina: socialismo o capitalismo”, parte seconda, nel nostro sito.

NOTE

1) vedi Roberto Sidoli, “I rapporti di forza”, cap. 6/7, in www.robertosidoli .net

2) Tang Xiangyang, “State monopolies dominate China’s Top 500?, in Economic Observer News, 9 settembre 2009, www.eco.com.cn

3) Dick Morris, “Socialism doesn’t work-not even in China”, 27 luglio 2009, in www.dickmorris.com.

Fonte: www.lacinarossa.net