Il Quotidiano del Popolo, organo del Partito comunista cinese, valuta sia giunto il momento di varare un nuovo ordine finanziario mondiale non più dipendente dagli Stati Uniti e dal dollaro. La politica finanziaria americana è totalmente responsabile della crisi, scrive l’editorialista del Quotidiano del Popolo. La domanda che ne deriva è perciò la seguente: perché il mondo deve farne le spese ?
L’editoriale, del prof. Shi Janxun dell’università di Shanghai, è stato pubblicato nell’edizione per l’estero di People’s Daily il 17 settembre 2008.
“La crisi degli Stati Uniti mostra quanto grandi siano la mancanza di controllo e di sorveglianza del mondo finanziario americano. Questa situazione ha provocato il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers e può degenerare in un vero tsunami finanziario. Il fallimento di Lehman Brothers può avere un effetto domino e ha già provocato contraccolpi negativi sull’economia di altri Paesi. Il mondo ha urgente bisogno di una moneta diversificata e di un giusto ordine finanziario non più dipendente dagli Stati Uniti”. Così scrive il prof. Shi Janxun.
Il dollaro perde lo status di moneta privilegiata
Nello novembre 2007, il mondo finanziario era già stato messo in guardia da un discorso di Cheng Siwei, vice presidente del Parlamento cinese. A quella data la Cina disponeva di circa 1500 miliardi di dollari nella propria riserva di valuta estera. Le dichiarazioni di Cheng Siwei appaiono oggi premonitrici: “ La Cina deve equilibrare le sue riserve e far si che altre divise forti come l’euro controbilancino le divise deboli come il dollaro“. In contemporanea, un alto funzionario della Banca di stato cinese annunciava che il dollaro stava “perdendo il suo status di moneta egemone negli scambi economici e finanziari mondiali“.
Alcuni analisti politici ritengono sia giunto il momento per la Cina di cautelarsi contro le oscillazioni del corso del dollaro diversificando maggiormente le sue riserve valutarie. L’articolo del Quotidiano del Popolo mostra come questo punto di vista stia convincendo sempre più le alte sfere dello Stato cinese.
Le conseguenze negative della crisi
Il fallimento di Lehman Brothers sta avendo conseguenze negative immediate per altre banche cinesi che hanno partecipazioni della banca fallita o nelle sue filiali. La China Merchants Bank possiede 70 milioni di dollari di azioni Lehman. L’Industrial & Commercial Bank of China ne possiede 151 milioni di dollari, la Bank of China 75 milioni di dollari più 53 milioni di prestito concesso a Lehman. E assai verosimile che le suddette banche debbano mettere una croce definitiva su questi 350 milioni di dollari. Stiamo parlando di perdite subite nell’immediato. In seguito, l’economia cinese, operatore di prima grandezza dell’economia mondiale, potrebbe subire altre conseguenze negative dalla crisi finanziaria americana. People’s Daily elenca i rischi che incombono sulla politica americana. E’ questa un’opinione condivisa dalle principali banche centrali di molti paesi. Il crescente pessimismo nei confronti del dollaro rafforza in misura consistente la tendenza in atto in un consistente gruppo di Paesi ad affrancarsi dall’egemonia del dollaro. Dopo il fatale crack di Wall Street nessun paese ha voglia di pagare le spese di quello che lo stesso candidato alla presidenza Barak Obama definisce “ lo scacco totale della nostra politica finanziaria”.
Il coro dei critici è in continua crescita
Le due principali borse del mondo sono quelle di Londra e di New York. Entrambe sono controllate dalle grandi Società americane. Va da sé che il petrolio sia perciò quotato e pagato in dollari. Ma questa regola appare ora in via di superamento : a metà febbraio di quest’anno è stata aperta una borsa iraniana del petrolio. Per la prima volta l’oro nero non è più trattato i dollari ma in rial, ossia in moneta iraniana.
Una settimana prima dell’apertura di questa borsa iraniana, Abdullah al-Badri, segretario generale dell’OPEC, aveva dichiarato che, nei prossimi dieci anni, i paesi esportatori di petrolio avrebbero abbandonato il dollaro per l’euro. Lo stesso ministro del petrolio iracheno, Hussein al-Shahristani ha dichiarato in quella occasione: “L’OPEC instaurerà una commissione per studiare il passaggio dal dollaro ad un paniere di monete diversificato“. Lo stesso Venezuela si è impegnato insieme all’Iran per accelerare questo processo.
Altri paesi produttori di petrolio che non fanno parte dell’OPEC, come la Norvegia e la Russia, sono ugualmente pronti ad abbandonare il dollaro. L’eventuale decisione di altri due o tre paesi di optare per l’euro, o per lo yen, o per un paniere più ampio di monete, sarebbe sufficiente per colare a picco la nave ammiraglia, ossia il petrodollaro, che in assoluta egemonia ha finora dominato il mercato mondiale dell’oro nero. Lapidario il commento rilasciato nella primavera scorsa da uno speculatore del calibro di George Soros: “ Il mondo è ormai lanciato verso la fine dell’era del dollaro.
Finora gli Stati Uniti hanno potuto esportare la maggior parte della loro crisi economica aumentando semplicemente il volume dei dollari circolanti. Il mondo aveva bisogno di questi dollari poiché il petrolio e le altre materie prime sono trattate con quella moneta. Non a caso il 70% delle riserve valutarie del pianeta sono costituite da dollari americani. Tuttavia, questa massa monetaria non è più, ormai da lungo tempo, sostenuta da un rapporto equo con il volume reale dell’economia degli Stati Uniti.
Alla fine della seconda guerra mondiale, quando la Gran Bretagna si è ritrovata pesantemente indebolita dalle conseguenze del conflitto, il dollaro ha soppiantato la relativa egemonia della sterlina diventando la moneta di scambio per l’intero pianeta, incluso ciò che restava dell’impero di sua maestà britannica. L’editoriale di People’s Daily spiega come e perché questo incontrastato dominio sia ormai entrato nella sua fase terminale.
Queste note sono state redatte da Peter Franssen, www.infochina.be il 19 settembre 2008 e riprese in http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2008-10-02%2010:06:16&log=invites, e tradotte dal francese a cura di Gramsci Oggi (http://www.gramscioggi.org).