La Cia confessa: ci siamo sbagliati

La Cia rompe gli indugi ed apre un’inchiesta sui traferimenti segreti in Paesi terzi di presunti terroristi catturati dopo l’11 settembre 2001. A dare l’annuncio è stata la stessa Agenzia, precisando che sarà l’ispettore generale John Helgerson a condurre l’indagine su «meno di dieci casi» nei quali le operazioni di «renditions» (consegne ad un Paese terzo di un sospetto terrorista catturato all’estero) potrebbero essere state «erronee» a causa di uno sbaglio di identità oppure del fatto che !’individuo catturato non era in realtà collegato ad attività o gruppi terroristici.
Dall’indomani degli attacchi dell’11 settembre la Cia ha portato a termine operazioni segrete con servizi alleati per la cattura di oltre tremila sospetti terroristi e – secondo fonti ufficiose – le «renditions» sarebbero state finora solo una piccola parte, fra 100 e 150, ma l’esistenza di errori è già venuta alla luce in almeno due occasioni: il caso del tedesco-libanese Khaled al-Masri, catturato in Macedonia nel dicembre 2003 portato in Afghanistan per essere interrogato e quindi rilasciato dopo cinque mesi per un errore di identità, e quello dell’ australiano-egiziano Mamdouh Habib, arrestato lungo il confine afghano-pakistano nel 200 l detenuto per quattro anni nel carcere di Guantanamo e rilasciato recentemente con relative scuse al governo di Canberra.
L’imbarazzo causato a Washington da questi due casi ha messo la Cia di fronte alla necessità di appurare se ne siano avvenuti altri. Anche perché le «renditions» sono state al centro negli ultimi diciotto mesi di due polemiche distinte: da un lato le organizzazioni americane per i diritti civili hanno accusato l’ Amministrazione Bush di aver violato le leggi nazionali consegnando i sospetti a nazioni come Egitto, Giordania e Uzbekistan dove viene praticata la tortura, dall’altro la magistratura in alcuni Paesi europei ha lamentato la violazione dei diritti di sovranità, come avvenuto ad esempio nel caso dell’Italia per via del blitz con cui la Cia catturò a Milano l’imam egiziano Abu Omar consegnandolo al Cairo. Sarà proprio l’indagine condotta da John Helgerson ad appurare se nel catturare Abu Omar la Cia abbia commesso o meno degli errori di persona.
Toro Malinowski, direttore della sede di Washington di Human Rights Watch, ha reagito con un misto di ottimismo e prudenza al passo compiuto dall’agenzia di intelligence guidata da Porter Goss: «Sono felice che abbia deciso di condurre l’indagine per fare piena luce su quanto avvenuto ma sarà difficile che verremo davvero a conoscere gli errori commessi in quanto il processo di accertamento si svolge in maniera tale da garantire adeguate salvaguardie penali degli interessati».
L’inchiesta è la prima ammissione pubblica da parte della Cia sui trasferimenti segreti di sospétti terroristi circondati da totale silenzio sin da quando questa procedura venne introdotta dal presidente Bill Clinton nel 1995. A confermarlo è stato l’ex agente dell’intelligence Michael Scheuer in un’intervista al settimanale tedesco «Die Zeit» nella quale ha ricostruito come nell’ autunno del 1995 furono proprio Clinton, il consigliere per la sicurezza Sandy Berger e l’esperto anti-terrorismo della Casa Bianca Richaird Clarke a decidere di procere ad arresti all’ estero «attraverso la polizia o i servizi segreti locali» per poi portare i catturati «fuori dagli Stati Uniti» nell’ambito di un’offensiva tesa «a smantellare l’organizzazione di Al Qaeda».
«Tali operazioni – ha detto Scheuer – sono state un grandioso successo nel 90 per cento dei casi ed un disastro nel 10 per cento ma a causa del clamore suscitato dalle recenti rivelazioni di stampa la Cia ha deciso di sospenderne l’esecuzione». La giustizia militare ha aperto ventisei indagini sulla morte violenta di altrettanti detenuti in carceri situati fuori dagli Stati