Chi non è venuto ha perso un treno. Ma ha tempo (poco) per recuperare. Chi si è messo contro, invece, ha probabilmente perso il polso del paese, di questa gente che lavora ogni giorno o ha lavorato una vita.
Il «divieto» fatto circolare dal Dipartimento organizzazione della Cgil non ha avuto alcun effetto. Centinaia di bandiere del sindacato storico della sinistra spuntavano a ogni angolo del corteo. L’area programmatica Lavoro Società ha scelto di farsi vedere davvero, mettendo in campo un camion, qualche migliaio di pettorine gialle «contro il lavoro nero e precario» e l’orgoglio di una componente rilevante della stessa maggioranza che regge la confederazione. Ma non sembra che l’ala «democratica» della segreteria sia stata resa più ragionevole dalla forza dei numeri. La segretaria confederale Carla Cantone ha parlato poi di «sfida alle regole», minacciando che «anche di questo si discuterà al direttivo che comincia lunedì».
Le persone che fanno vivere il sindacato e che ieri erano in piazza sono decisamente più mature, attente al merito e non sopportano diktat. Abbiamo avvicinato un ragazzo che reggeva la bandiera con la scritta «Cgil Campania», 25 anni, operaio alla Fiat di Pomigliano d’Arco. Alla domanda finto-scherzosa sul «divieto» ha risposto con la serietà di un veterano: «Io mi alzo ogni mattina alle tre per andare a lavorare. Sono io la Cgil. Credo che Epifani abbia preso un abbaglio; e che stiamo, anche con questa manifestazione, salvando la Cgil da una deriva pericolosa».
Pomigliano è una fabbrica «giovane», età media 28 anni. Qui il «no» alla consultazione ha preso il 90%. «Sì, siamo quasi tutti giovani, ma uno su due è precario e si lotta per la sopravvivenza». Che poi vuol dire una cosa semplice: «Chi ha un contratto fisso sa che chi gli sta a fianco probabilmente non ci sarà tra tre mesi; e quindi non gli può chiedere che faccia la tua stessa quantità di lavoro. E quindi noi ‘garantiti’ lavoriamo di più, ma loro non sanno mai se il contratto a tempo gli sarà rinnovato oppure no».
I ferrovieri hanno molta esperienza e hanno portato una piccola locomotiva finta che manda un fumo infernale, davanti allo striscione «No precari sui binari». Sembra assurdo, ma ci sono «apprendisti» che portano il treno da soli, senza neppure un macchinista esperto al loro fianco. Il guadagno per le Fs è tutto economico: «Un apprendista costa il 30% in meno di salario e il 90% in meno di contributi». Sulla situazione politica hanno le idee chiare: «Tutte le mediazioni politiche su lavoro e welfare erano state fatte con il programma dell’Unione, quello era il punto di equilibrio per tutti; non se ne possono fare altre, cedere ancora».
Un gruppetto di giovani operai della WatsUa di Trieste la vedono «male, malissimo. Ormai ci sentiamo anche un po’ presi per il culo dalla nostra stessa confederazione». Al centro della critica sta il protocollo sul welfare, venduto come «un passo avanti per i giovani». Ma a loro non risulta proprio. Anzi, vi vedono «un attacco alla contrattazione nazionale, oltre che il solito gioco di tentare di mettere giovani contro vecchi». Sentono di «lavorare per sopravvivere» e pensano che la prima difesa sia «aumentare il potere d’acquisto, i salari».
Due ragazze di Lecce con la pettorina gialla sono invece studentesse a Roma. «Non ci sta bene niente, l’università ha pochi soldi per le borse di studio e noi finiamo dentro il lavoro nero; facciamo le cameriere nei pub e nei ristoranti, dove capita». Qualche striscione anche per la Re-te28Aprile, l’area programmatica di Giorgio Cremaschi. Qui stiamo tra quadri sindacali esperti, ancora con lo sguardo sui risultati del «referendum» e sui conti che a loro non tornano. Ma che ricordano «il voto delle grandi fabbriche del nord», che è «la base per costruire una svolta sindacale, ma anche politica a sinistra». Si galleggia avanti e indietro in un corteo «indisciplinato», con la gente che sorpassa la «testa» aggirandola dai marciapiedi o tagliando direttamente per vie traverse. Gianni Rinaldini, segretario generale della «ribelle» Fiom, sorride e non vuole aggiungere nulla a quello che si vede e sente. «Stai a sentire chi lavora, oggi, mi sembra abbiano molto da dire».
Un ragazzo con la bandiera della Filcams Cgil se ne va in cerca dei suoi. «Siamo venuti da Trento in duecento. Mi pare che ci sia un risveglio di coscienza, che è più importante del motivo per cui ci siamo mossi. Stiamo smettendo di pensare che qualcuno ci regali qualcosa; bisogna smettere di piangersi addosso, perché nessuno ti aiuta. Se hai qualcosa da pretendere, ti devi muovere in prima persona».
La bandièra Cgil Como attira lo sguardo. «Non sopportiamo padroni in ditta, figuriamoci nel sindacato. E poi Epifani non è il padrone della Cgil. Sono 37 anni che faccio il sindacato, l’abbiamo fatto diventare grande noi. E nessuno ci aveva mai chiesto di non portare le nostre bandiere con noi». E insieme agli altri ci tiene a far sapere che sono la rsu del-l’Spt (i trasporti pubblici). Poco più indietro sventolano le scritte «funzione pubblica», con quadri che ironizzano sull’esercizio provvisorio» (se il governo va in crisi) come un modo «di non darci nemmeno quei 101 euro del contratto». Non manca la scuola, e un docente che ci chiede quanti siamo. «Trecentomila, secondo la questura», rispondo. Sorride.
«Secondo la regola aurea fissata per, lo sbarco dei 1.000 a Marsala- quando la questura di Roma stabilì che erano solo 330 – possiamo anche dire di essere un milione». Ah, la storia… Se non la sai, ti sembra sempre tutto «nuovo».
Un delegato di Melfi sta seduto sotto il palco. Ragiona con pacatezza, senza slogan. Ma «quando fai una riforma sociale così importante (il protocollo, ndf) bisogna tener conto del parere dei lavoratori; e quelli che producono la ricchezza hanno detto chiaramente come la pensano». A Melfi il «no» ha avuto ì’80%, anche se la Fiom ha solo il 20. E poi «è riduttivo parlare di ‘aumento della vita media’; per chi sta alla catena non è aumentata per niente». E basta accontentare le imprese, che «vogliono sempre più produttività, aumentando i ritmi». A Melfi «su 5.000 lavoratori ancora giovani, sono più di 1.000 quelli che hanno riportato fin qui limitazioni fisiche». Grazie al Tmc2, il sistema messo sotto inchiesta da Guariniello («in quel processo la Fiat è andata al patteggiamento, che è un’ammissione di colpevolezza»).
Ed è lui a tracciare un po’ il quadro di come vengono viste le «alte sfere» della politica (sindacato compreso) dai lavoratori ieri in piazza. «La Cgil sta cercando di sostenere il governo fin quasi all’estremo. Ma anche se si arrivasse a fine mandato -Mastella permettendo – i lavoratori non voterebbero più quei partiti; e noi resteremmo anche senza quella forza di avanzamento, il sindacato, che ci ha permesso di fare la storia di questo paese». Dopo il corteo di ieri, però, c’è forse qualche margine di risposta in più.