«Tutta colpa del sindaco Corsini. I bresciani che l’hanno votato e rivotato raccolgono quel che hanno seminato». E’ la raffinata diagnosi del leghista Roberto Castelli sui tre delitti commessi da immigrati. Sono il risultato della politica di «grande apertura agli extracomunitari» del sindaco Ds, braccio in Loggia della finanza liberalcattolica capeggiata da Giovanni Bazoli (BancaIntesa). Eccola qua la lobby che ha fatto diventare la Leonessa «il ricettacolo di tutta questa umanità varia» che accoltella, abusa, spaccia, rende interi quartieri off limits per i nativi.
Passiamo allo cose serie. «A Brescia c’è sgomento, ma non c’è allarme sociale», dice il prefetto Tronca al termine della riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza. I tre delitti (vittime Hina Saleem, Elena Lonati e il pittore Bresciani) sono «scollegati tra loro, maturati in ambienti diversi, mossi da motivazioni differenti». Non c’è un’impennata di omicidi in città: sei dall’inizio dell’anno, altrettanti nell’equivalente periodo del 2005. I centralini di polizia, carabinieri, vigili urbani non ribollono di telefonate di bresciani impauriti o rabbiosi.
Dino Greco, segretario della Cgil, non vede una città in preda al panico. L’unico nel panico, al punto da non mettere il naso fuori casa dopo le otto di sera – ironizza Greco – è il filosofo Emanuele Severino che, anticipando Castelli, ha accusato la chiesa bresciana di «eccessi caritativi». Anche il segretario della Camera del lavoro non mette i tre delitti nello stesso mazzo. Concentra l’attenzione sull’uccisione di Hina, la giovane pachistana «punita» dal clan familiare per la sua scandalosa scelta di libertà. «Al netto delle strumentalizzazioni politiche e dei doppiopesismi mediatici, l’uccisione di Hina squaderna il tema della condizione della donna in alcune comunità migranti». La libertà femminile fa problema per tutti, «compresi noi italiani». Fa ancor più problema nella cultura tradizionale pachistana, segnata dal patriarcato. «E’ un problema che la Cgil vuole affrontare», annuncia Greco. La comunità pachistana ha condannato l’uccisione di Hina. E però ha accompagnato la condanna con «confuse e oblique» argomentazioni, con giudizi negativi sulle scelte di vita di Hina, espressioni di «un’identità in itinere, sincretica, sospesa tra tradizione e impatto con l’occidente».
Il nodo gira attorno alla libertà femminile è la Cgil di questo vuol discutere con i suoi iscritti stranieri, in gran parte maschi. Prima con i pachistani, «lontano dai riflettori perché il confronto sia magari duro, ma sincero». Poi con le altre nazionalità. Alla fine, se ci saranno le condizioni, una grande assemblea pubblica. Il tanto parlare di questi giorni sull’immigrazione «modello Brescia» scopre una cosa arcinota per chi fa di mestiere il sindacalista: il lavoro non è tutto, l’integrazione economica non trascina più automaticamente tutto il resto. Uguali in fabbrica, diversi fuori. «E’ così per gli italiani», osserva Greco, ricordando i tanti operai bresciani con forte coscienza di classe, leghisti nell’urna e nella testa, «figuramoci per gli stranieri». In cinque anni gli immigrati a Brescia sono raddoppiati: 62 mila i regolari nel 2001, 133 mila nel 2005. Per metà sono musulmani. Con il 13% sul totale della popolazione Brescia è città capoluogo a più alta densità di immigrati. La previsione è che nel 2010 la percentuale toccherà il 22%. In parte per nuovi arrivi, in parte per nuovi nati: già ora sono figli d’immigrati il 34% dei neonati bresciani.