LA CASA DEI COMUNISTI DEVE ESSERE APERTA

Di fronte aun risultato elettorale come quello del 14 aprile è difficile un’analisi lucida di tutti i perché, ma vorrei iniziare questa intervista con Manuela Palermi, senatrice uscente del Pdci, chiedendo subito che fine e da dove ripartire, considerando per la prima volta nella storia repubblicana l’assenza di esponenti comunisti e di sinistra dal Parlamento.
Si è tenuta nei giorni scorsi un’ottima Direzione nazionale del partito, serena malgrado il risultato elettorale drammatico. Diliberto ha individuato con lucidità l’unica strada percorribile. La Sinistra arcobaleno è morta, lo hanno deciso gli elettori. Ma quel che dobbiamo fare oggi è cercare di unire tutte le forze comuniste, che da anni stanno vivendo una vera diaspora. Queste forze sono innanzitutto nel nostro partito, ma sono anche nel Prc, nei luoghi di lavoro, nella società, nei tantissimi che in questi anni sono rimasti senza una tessera in tasca. Da qui bisoena lavorare oer ricostruire la casa dei comunisti.

Non senti il rischio di una chiusura in noi stessi, anche nel tentativo di proteggere ciò che è rimasto?
La chiusura in una nicchia sempre più piccola sarebbe un errore e si risolverebbe in una sconfitta anche maggiore dell’attuale. La casa dei comunisti deve essere aperta in modo da riannodare un rapporto con tutti quelli che non si sono arresi al berlusconismo, alla deriva moderata del Pd, alla vittoria del capitalismo. In questo Paese, malgrado tutto, esiste e resiste una cultura di sinistra, di cui i comunisti sono la parte essenziale. La sconfitta è stata pesante, ma i comunisti sono abituati a non lasciarsi travolgere, ci sono riusciti in epoche ben più dure della nostra, durante il fascismo e nella clandestinità. Inoltre, non possiamo permettere che la povera gente, i lavoratori, siano abbandonati nella mani della Lega e di Berlusconi. E’ agghiacciante che si consideri oggi la Lega e il Pdl partiti che sanno parlare ai lavoratori, che sanno interpretare il nuovo a differenza di noi che saremmo vecchi e nostalgici.

Ma cosa è successo in questi anni?
Occorre riflettere attentamente su quanto accaduto negli ultimi venti anni per interpretare il senso profondo del voto alla Lega e a Berlusconi.

Cioè?
Mi riferisco agli anni 80, quando le fabbriche furono attraversate dalle ristrutturazioni riduttive e dalle esternalizzazioni selvagge e il massimo che si riusciva a ottenere era la cassa integrazione. Penso alla sconfitta alla Fiat e alla marcia dei 40 mila. Mi riferisco alla fine della scala mobile e all’accordo del’93 sulla politica dei redditi… Sconfitte operaie durissime e quando si è sconfitti ci si piega. Anche il sindacato, anche la Cgil, si sono piegati. Quelli furono gli anni della “compatibilità salariale”, del “peggioramento da gestire” per dirla con Pizzinato, allora segretario generale della Cgil. I processi storici non sono mai immediati, scavano nelle coscienze, negli orientamenti, nella consapevolezza di sé. Difficile pensare che il movimento operaio ne sarebbe uscito indenne. Noi abbiamo dato per scontata l’appartenenza dei lavoratori alla sinistra. E invece quei processi hanno scavato a fondo senza che noi riuscissimo a frenarne la deriva. La rappresentanza di classe se attenuata nelle compatibilità, nell’accettazione delle difficoltà. Ma quando non riesci più a offrire una tutela che dia anche il senso del cambiamento, gli altri – le destre, i padroni, i capitalisti – sono più forti. I lavoratori hanno cercato un’altra rappresentanza, i padroni e operai sono uguali e hanno gli stessi interessi. Ed è qui che hanno incontrato la Lega e il berlusconismo.

Tutto parte, dici tu, da una lunga e drammatica sconfitta operaia. Mi hai citato la Fiat, la scala mobile… vuoi farmi un esempio di oggi?
La drammatica sequela di omicidi sul lavoro. In parte s’è risposto con una legge valida, la prima seria elaborata da un Parlamento. Ma gli omicidi bianchi si evitano se i lavoratori e il loro sindacato hanno un controllo dell’organizzazione del lavoro della fabbrica o del cantiere: formazione dei lavoratori, ritmi di lavoro (orari, pause, straordinari), consapevolezza dei punti di rischio, adeguamento dell’organico, controllo delle assunzioni affinché i giovani senza esperienza non siano messi nei punti di rischio. Tutto ciò si è fatto quando il movimento operaio era forte. Oggi non è così. L’organizzazione del lavoro è decisa unilateralmente dal padronato sulla base esclusiva del mercato e del profitto. Puoi fare un milione di leggi, ma se non torni lì, alla fabbrica, al controllo operaio…

Torniamo ai risultati elettorali e al destino della sinistra italiana, cosa non ha funzionato nella Sinistra arcobaleno, in un contesto che comunque vede il Paese spostarsi fortemente a destra?
E’ stata un cartello elettorale, non è riuscita a creare né emozioni né aspettative. Durante la campagna elettorale si è presentata più come una sinistra compatibile con il Pd che alternativa. Ha sostanzialmente avanzato emendamenti – anche seri, ma emendamenti! – all’idea di società di Berlusconi e la declinazione veltroniana. Ed è stata proprio questa “compatibilità” che ha reso fortissimo il richiamo del voto utile. Se tutto si riduce a difenderti da Berlusconi e dalla Lega, tanto vale votare Pd. A questo si aggiungano i falsi slogan di Veltroni che annunciava «siamo ad una incollatura» quando invece Berlusconi ha vinto con dieci punti di vantaggio. Siamo insomma stati incapaci di offrire un’alternativa di società per cui valesse la pena rischiare.

Il tuo giudizio sul Pd fa capire che in Parlamento l’opposizione potrebbe essere nulla…
Il Pd, spostandosi verso posizioni assolutamente moderate, ha nei fatti legittimato il ritorno delle destre. Non dimentichiamo le “offerte da galantuomo” avanzate a Berlusconi. Veltroni ha detto che la Costituzione andava riscritta insieme ai post fascisti di An, ai secessionisti della Lega e a un individuo come Berlusconi che ha fatto i suoi interessi con leggi ad personam, che ha imbarcato sul suo carro personaggi collusi con la mafia. Le sue colpe sono inaudite.

E allora, da dove si riparte?
Dai comunisti. E da una grande apertura verso tutte quelle forze, tutti quegli uomini e quelle donne che non si rassegnano alla scomparsa della sinistra. Non possiamo più vivere di antiche certezze, perché troppe cose di fondo sono modificate. Penso al lavoro, alla nuova classe degli sfruttati che nella precarietà vive una profonda debolezza e un grande isolamento. Insomma, la fabbrica ce sempre, ma non ce solo la fabbrica. Di fronte a queste novità strutturali abbiamo difficoltà nel-l’individuare l’iniziativa.

Come ricominciare fuori dal Parlamento?
Sarà complicato, ma dobbiamo ricominciare dai lavoratori, dobbiamo parlare agli immigrati, alle donne, a tutti coloro che subiscono un’esclusione sociale. Con loro capire, assumendo la loro condizione di vita e di lavoro, come è modificata la classe e quali gli interventi per riunifìcar-la, organizzarla e rappresentarla. Ce la faremo perché ce in noi una irriducibilità indomabile.
Il Congresso straordinario del Pdci deve essere anche questo: non parlare solo tra noi, ma anche a chi non ci ha votato, a chi davamo
per scontato che fosse dalla nostra parte e non ci ha più seguito, considerandoci inutili. Il dibattito della Direzione mi ha dato la consapevolezza che il partito c’è, la direzione di Diliberto è salda. Non c’è stato un intervento che fosse rassegnato o autoconsolatorio. Possiamo dire con un qualche orgoglio che siamo l’unico partito della sinistra che sta reagendo unitariamente al grave colpo subito.