La calorosa accoglienza di San Paolo a Bush

Manifestazioni, marce e botte da orbi – una ventina di feriti e qualche arresto – per celebrare la breve visita del presidente americano Gorge Bush in Brasile. Le cerimonie di «malvenuto» erano già cominciate giovedì e sono proseguite ieri prima dell’imbarco sull’Air Force One per volare a Montevideo, dove lo attendeva un’accoglienza altrettanto calorosa.
Bush era arrivato giovedì in serata all’aeroporto paulista di Guarulhos, si era subito infilato nella limousine blindata che l’aveva preceduto – come tutto il resto: dall’elicottero all’autoambulanza, dagli hamburger all’acqua minerale – a bordo dei due enormi Galaxy che lo precedono in ciascuna delle tappe previste in questo suo viaggio di 8 giorni in America latina: Brasile, Uruguay, Colombia (ma a Bogotà, ospite dell’amico Uribe, non si fermerà neppure a dormire: meglio non rischiare nonostante la «guerra al terrorismo» anche lì vada benissimo come in Iraq e Afghanistan, visto che proprio ieri il capo della polizia colombiana ha assicurato di aver scoperto dei piani delle Farc per compiere un’ondata di attentati in concomitanza della visita), infine Guatemala e Messico.
Il presidente George e la first lady Laura ovviamente non si sono accorti di quel che stava succedendo intorno a loro. Chiusi nella limousine e nella suite dell’hotel Hilton, segreti i loro spostamenti per depistare i manifestanti, si sono mossi in una città blindata (giovedì lo spazio aereo intorno all’aeroporto di Guarulhos è stato chiuso per un raggio di 1000 km). Ma nell’avenida Paulista, il cuore della città, sono sfilate – e si sono scontrate con la polizia – fra 10 e 30 mila persone, mentre altre migliaia sfilavano e protestavano in diverse città brasiliane: a Rio de Janeiro, a Porto Alegre, a Salvador de Bahia… Una protesta globale: dall’Iraq all’America latina, dall’etanolo all’ambiente: nulla di quello che Bush incarna sembra piacere ai brasiliani. E non solo a loro se sono attendibili i dati di un recente sondaggio che rivela come il 64% degli argentini considera «negativa» l’influenza degli Usa in America latina, il 57% dei brasiliani, il 53% dei messicani, il 51% dei cileni.
A guidare le proteste il Movimento dei Sem-Terra di Joao Pedro Stedile che considera un grande pericolo e una grande truffa la nuova «alleanza strategica» che Bush è venuto a firmare con Lula per «lo sviluppo di risorse energetiche economiche, pulite e sostenibili». È la «diplomazia dell’etanolo», ossia dei bio-combustibili derivati dalla canna da zucchero e dal mais, di cui Usa e Brasile sono i maggiori produttori del mondo (il 75% del totale), che dovrebbe affrancare dalla dipendenza del petrolio e dalla aggressiva «petro-diplomazia» di paesi «ostili», il Venezuela di Chavez, l’Iran di Ahmadinejad… L’etanolo, che muove la metà delle autovetture in Brasile ma solo il 2% del totale del combustibile consumato a livello mondiale, è l’ultimo esempio del «green-washing», la mano di verde su una nuova opportunità di profitti colossali. «Vogliamo terre per la riforma agraria e per produrre alimenti e non alcol per gli Stati uniti», si leggeva sugli striscioni con cui giovedì sfilavano i Senza-terra.
La firma del «Memorandum d’intesa» fra Usa e Brasile «per avanzare nella cooperazione nei bio-combustibili», da estendere anche ad altri partner specialmente in Centramerica, è stato il clou della visita di Bush in Brasile e dei caldi incontri con Lula. Ieri mattina i due presidenti sono andati a visitare le installazioni della Transpetro, impresa che fa parte della Petrobras, a Guaruglhos, dove Lula ha mostrato con orgoglio la tecnologia brasiliana, più avanzata di quella Usa e tale da rendere l’etanolo do Brasil molto più economico di quello made in Usa. L’enfasi della «diplomazia dell’etanolo» e il calore degli incontri fra Bush e Lula (che, privilegio concesso a pochi intimi, è stato invitato a Camp David per la fine di marzo) non sono piaciuti a tutti e hanno provocato oltre alle proteste dei militanti del Pt nelle strade di San Paolo, anche forti malumori dentro il governo. Dilma Roussef, la ministra a capo del gabinetto di Lula, per calmare gli animi ha dovuto rassicurare che non si tratta di «un allineamento» del Brasile con gli Stati uniti e neanche di «un detrimento dell’amichevole relazione con il Venezuela».
Perché l’altro obiettivo del viaggio di Bush è politico. Appunto il tentativo di fermare la (quasi) irresistibile ascesa di Chavez in America latina, facendo leva sul Brasile, che dell’America latina è il gigante non più dormiente. Questo Chavez l’ha capito benissimo, tanto che è impegnato in un contro-viaggio che l’ha portato ieri nell’Argentina di Kirchner, dove appena arrivato ha attaccato a testa bassa «l’ipocrisia del caballero del norte», e domani nella Bolivia di Morales. Lo stesso concetto espresso con parole meno infuocate dal Nobel per l’economia Joseph Stiglitz che ha definito la tournée di Bush in America latina «il deliberato tentativo di distruggere la cooperazione regionale».