La buona notizia e i rischi futuri:le valutazioni delle reti contro il Wto

Per anni hanno viaggiato dietro agli sherpa dei ministri del Commercio, seguito summit, organizzato campagne, manifestazioni, dialogato con la stampa. Adesso che il Doha round sembra essere arrivato su un binario morto, non sembrano gioire come ci si sarebbe potuti aspettare. Sono i cosiddetti “campaigner”, le persone che lavorano alle campagne per un commercio internazionale più giusto e contro la forma presa dal Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio). Qual’è il nodo? Perché chi ha organizzato le lotte contro il Wto, seguito i negoziati e fatto da consulente alle delegazioni del Sud del mondo nei negoziati in queste ore non sta brindando? «La sospensione delle trattative sarebbe un buon risultato se avessimo assistito a un cambiamento radicale dell’approccio di Europa e Stati Uniti sul commercio, se questa fosse una pausa di riflessione – spiega a Liberazione Romain Benicchio di Oxfam international da Ginevra – La verità è che senza un’idea di commercio più giusto tra nord e sud, qualsiasi trattativa non può portare risultati buoni, che avvenga in una sede multilaterale come quella del Wto qui a Ginevra o che sia il frutto di trattative bilaterali tra un grande e un piccolo». Quello degli accordi bilaterali è un pericolo tanto grande quanto quello di una felice conclusione del Doha round. Su questo concordano in molti tra coloro che lavorano alle campagne. Cosa vuol dire accordi bilaterali o, come recita il gergo tecnico del Wto, Accordi di partnership economica (in inglese Economic Partnership Agreements, o EPAs)? Molto semplicemente trattative commerciali tra due Paesi nelle quali l’Unione europa, gli Stati Uniti (o la Francia, l’Italia, la Gran Bretagna) dettano le loro condizioni a un Paese X del Sud. Banalizzando lo scambio che avviene è «Ti lasciamo esportare la tua canna da zucchero – o il tuo cotone, la tua frutta – se tu mi garantisci l’accesso privilegiato al tuo mercato delle telecomunicazioni e dei servizi». Non succede proprio così, di solito si tratta di formule più sfumate, ma il concetto è questo: uso sproporzionato della forza commerciale per imporre a un piccolo Paese che ha bisogno di esportare la sua monocoltura di accettare delle relazioni commerciali capestro.
Come spiega Roberto Sensi di Mani Tese, «Verrebbe quasi da pensare che gli Stati Uniti volessero una messa in discussione del sistema multilaterale, ormai erano costretti a mediare con troppi altri attori importanti (India, Brasile e Cina). E con loro anche altre grandi potenze commerciali di oggi e di domani: la Cina è stata molto silenziosa, ha la sua agenda commerciale e la sta implementando con trattative bilaterali». Anche secondo Aileen Kwa (che segue i negoziati a Ginevra per Focus on the Global South, un’organizzazione con sede a Bangkok) stavolta il nodo sono stati gli Usa: «L’Unione europea sembrava pronta a concedere qualcosa, ma questioni di politica interna statunitense hanno determinato lo stallo. L’idea di tagliare i sussidi agricoli per favorire importazioni dal Sud non piace al Congresso Usa. L’atteggiamento americano ha fatto irrigidire brasiliani e indiani ed ecco il risultato». Questo naufragio si spiega anche e soprattutto con quello che è successo nel mondo in qesti anni. Quando partono i negoziati Wto non c’è la Cina, non c’è l’India e nemmeno il Brasile, il Sud Africa. Il pericolo è che alcune delle questioni che si volevano imporre nei Doha round e che sono state fermate a Cancun, adesso vengano imposte dai trattati bilaterali o regionali. «Il rischio è che le grandi potenze commerciali di oggi e di domani si costruiscano aree di influenza dividendosi il mondo per macroregioni» conclude Sensi.

Ma c’è solo da essere preoccupati? Tradewatch, l’osservatorio rete sul commercio internazionale gioisce e parla di «De profundis per il Wto e di resa della massima istituzione del liberismo internazionale», mentre Peter Hardstaff, del britannico World Development Movement ci spiega che «Era chiaro fin dall’inizio che il Doha round non sarebbe stato un negoziato di sviluppo e perciò, con tutte le precauzioni del caso, dobbiamo rallegrarci del fallimento di questi negoziati. Non solo Use ed Ue non concedevano abbastanza sull’agricoltura, ma l’idea stessa che i Paesi del Sud potessero proteggere i prprio piccoli agricoltori o le loro industrie nascenti era fuori discussione. Non era un round di sviluppo». Un’opinione diversa da quella di Claire Melamed di Christian Aid che sostiene che «c’era bisogno che questi negoziati portassero ad un accordo equo, il fallimento è da addossare a Europa e Stati Uniti» (che a loro volta si scambiano accuse). Una visione diversa che parte da un’analisi simile (il commercio internazionale così com’è non va) e ne ricava risultati diversi: c’è chi crede che si possa arrivare a trattati giusti ed equi in ambito Wto e chi pensa che sia l’organizzazione in quanto tale a dover essere rifondata e collegata all’Onu. «Il fallimento di ieri dimostra come il sistema Wto sia totalmente inadeguato a far fronte alle sfide della globalizzazione» dice ad esempio Monica Di Sisto di Fair. La Di Sisto si appella ai movimenti sociali, «che possono dare un contributo determinante nel favorire la costruzione di un sistema realmente multilaterale più equo, che superi un Wto in crisi e che tenga in debita considerazione le istanze delle popolazioni, dell’ambiente ed i diritti umani». Una strada possibile anche per Aileen Kwa che aggiunge: «Non è detto che il Doha round sia finito. Si trova sempre un modo per reinventare un negoziato. Capire se ci sarà questa volontà è solo questione di tempo, ma bisogna tenere conto che nei colloqui informali di ieri, tutti i delegati dicevano di essere fortemente impegnati per salvare il round. Certo, se in questa fase i Paesi del Sud si facessero avanti con delle idee forti e una posizione chiara e unita su un’idea diversa di Wto, ci sarebbero delle possibilità interessanti. Bisogna cogliere l’attimo». Un passaggio cruciale saranno le elezioni di mid term americane di novembre e la nuova composizione del Congresso. Se e quale nuovo mandato daranno i deputati americani ai negoziatori Usa nel Wto è una chiave di volta importante che dipende proprio da chi verrà eletto. Ma chi è che potrebbe raccogliere attorno a sè i Paesi del Sud dopo che India e Brasile sono diventati potenze regionali con interessi almeno in parte divergenti? E’ ancora la Kwa a rispondere: «Io spero molto che Bolivia e Venezuela possano portarsi dietro i Paesi africani (che cominciano a manifestare palesemente di non essere affatto contenti di come sono andati i negoziati e di come va il bilaterale)».