La «Bolognina» di Piero Fassino: «Partito democratico, partito vero»

Per essere una mano tesa ai «demoscettici», quella di Piero Fassino è una manovra ben strana. In un’intervista all’Espresso anticipata ieri alle agenzie, infatti, il segretario della Quercia spinge a tavoletta verso il partitone che verrà: «Bisogna rimettere al centro dell’agenda il partito democratico. E’ necessario aprire una stagione di confronto più ampio nei partiti e fuori». Di più, la posta è quella massima: «Un partito vero, non una debole federazione di partiti».
Per il segretario Ds il compito appare epocale: «Il partito democratico ha il compito che ebbe Adenauer quando restituì identità alla Germania o Kohl e Brandt quando la riunificarono, un passaggio non dissimile da quello vissuto dalla Francia dopo la crisi della Quarta repubblica, la sfida su cui si misurò Gonzalez nella transizione dal franchismo alla democrazia in Spagna. Un progetto alto, culturale prima che politico: l’Italia, la sua vocazione, il suo destino». E che il colloquio abbia un carattere non rituale lo spiega direttamente l’intervistato: «Mi comporto – dice Fassino – come in altri momenti cruciali hanno fatto i miei predecessori. Non voglio fare paragoni impropri, ma Enrico Berlinguer avanzò la proposta del compromesso storico su Rinascita, non al comitato centrale del Pci. E disse di sentirsi sicuro sotto l’ombrello della Nato in un’intervista con Giampaolo Pansa sul Corriere. Chi ripete che tutto si deve discutere nelle sedi formali dimentica che la società non dipende solo da quel che accade nei partiti».
Stabilito il traguardo e l’orizzonte di riferimento restano i passi intermedi: «Il congresso di primavera non deciderà lo scioglimento della Quercia» ma il parto del nuovo partito è già stabilito: si presenterà nel 2009 alle europee.
Il pensiero corre ad altre svolte, alla Bolognina. «Gli oppositori – rievoca Fassino – ci accusavano di voler liquidare una storia. E invece con i Ds abbiamo ripensato la sinistra, le abbiamo restituito linfa e vitalità». E poi l’affondo personale che fa infuriare la terza mozione e la sinistra Ds: «Lo chiedo a Gavino Angius che era ostile anche allora, se non avessimo fatto la svolta dove saremmo?. Non voglio separazioni o scissioni, ma la mia disponibilità al dialogo non mi porta a rinunciare o a indebolire il progetto. Tanto più ora – conclude – che il Pse è assunto da tutti come l’interlocutore, anche dalla Margherita».
Le minoranze però rumoreggiano. Angius si non commenta. Il compagno di mozione Peppino Caldarola invece sì: «Della Bolognina ricordo perfettamente il dilettantismo che portò alla mancata elezione di Occhetto alla segreteria. Spero che Fassino non inauguri un congresso con polemiche di carattere personale perché se si continua su questa strada si avvia un processo inarrestabile. Fassino sa che io credo di aver una capacità polemica superiore alla sua e a tutte le sue segreterie, perché ricordo tutto della cronaca politica dell’ultimo quindicennio».
Anche le sinistre (Mussi, Salvi, Bandoli e Spini) scrivono al segretario: «C’è il rischio di andare al congresso non solo senza una chiara piattaforma politica della maggioranza, se ancora esiste una vera maggioranza, ma con un innalzamento quotidiano di toni che accrescono il malessere e persino lo sconcerto».