Il mercato della casa è in ebollizione. La speculazione impazza e i valori immobiliari sono cresciuti rapidamente e freneticamente Ora il rischio è di un crollo improvviso
Lo scorso febbraio a Hollywood sono risuonate le sirene della polizia di Los Angeles, accorsa in forze all’angolo tra Sunset Boulevard e Western Avenue. Mentre un capitano di polizia sbraitava ordini al megafono, una folla di 3000 persone arrabbiate rispondeva gridando improperi. Un passante avrebbe potuto scambiare la scena per il set di un importante film, o magari per l’inizio della prossima grande rivolta di Los Angeles. Come il capitano di polizia Michael Downing ha dichiarato in seguito alla stampa: «c’erano persone veramente disperate che ragionavano come una folla pronta a tutto. Era come se lottassero per conquistare l’ultimo tozzo di pane». Il riferimento alla lotta per il pane era appropriato, anche se in realtà la folla stava lottando per le ultime briciole di case a prezzi accessibili, in una città dove gli affitti e i mutui stanno diventando stratosferici. In ballo c’erano 56 appartamenti non ancora terminati costruiti da un’agenzia non-profit. I progettisti avevano previsto, al massimo, l’arrivo di parecchie centinaia di persone. Quando invece si sono presentate per l’aggiudicazione migliaia di persone disperate, le cose si sono velocemente messe male ed è intervenuta la polizia. Pochi week-end dopo questo duro scontro svoltosi a Hollywood, un’altra folla ansiosa – questa volta composta da persone più benestanti, anch’esse in cerca di casa – è rimasta in fila per ore pur di avere l’opportunità di offrire una cifra scandalosa per acquistare un’unica casa fatiscente, con le crepe nelle fondamenta, in un vicino sobborgo conosciuto per la bontà delle sue scuole. «Tutta quella gente non è una sorpresa» ha scritto l’editorialista del Los Angeles Times Steve Lopez. «Gli ultimi dati dimostrano che le scuole pubbliche della California sono vere fabbriche di abbandono scolastico».
Secondo una recente ricerca di Harvard, attualmente le scuole di Los Angeles – sottofinanziate, sovraffollate e violente – non riescono a far diplomare la maggior parte dei loro studenti neri e latinos e un terzo di quelli bianchi. Di conseguenza i genitori sono disposti a fare sacrifici straordinari pur di andare a vivere con i loro figli in quartieri con una scuola pubblica funzionante. Questo dà un nuovo senso al vecchio adagio che nel mercato immobiliare «la collocazione è tutto»: le case nella California meridionale sono universalmente pubblicizzate e stimate in base al prestigio dei distretti scolastici della zona.
Naturalmente la crisi abitativa della California meridionale ha anche un lato più radioso. Negli ultimi cinque anni i valori medi delle case sono aumentati del 118% a Los Angeles e di uno straordinario 137% nella vicina San Diego. Di conseguenza, le case sono diventate dei bancomat privati che garantiscono ai loro proprietari un flusso magico, non sudato di soldi liquidi con cui acquistare nuovi suv, gli sports utility vehicles, versare la caparra per la casa delle vacanze e pagare gli studi ai figli in college sempre più costosi. Secondo una ricerca della Wharton Business School, le ipoteche di secondo grado e i rifinanziamenti sulle case hanno generato dal 2000 a oggi la straordinaria cifra di 1600 miliardi di dollari in consumi aggiuntivi.
La grande bolla immobiliare americana, come i suoi pingui omologhi nel Regno unito, in Irlanda, in Olanda, in Spagna e in Australia è un classico gioco a somma zero. Senza generare un atomo di nuova ricchezza, l’inflazione sui terreni redistribuisce spietatamente la ricchezza da chi vorrebbe avere dei beni, a chi già li detiene: rafforzando le divisioni sia all’interno delle classi sociali, sia tra una classe e l’altra.
Ad esempio, a San Diego, una giovane insegnante che affitta un appartamento deve oggi affrontare un costo annuale (24.000 dollari per una casa con due stanze da letto in centro) equivalente a due terzi del suo reddito. Per contro, un autista di autobus più vecchio, che possiede una modesta casa nello stesso quartiere, può aver «guadagnato» dall’inflazione sulla casa quasi altrettanto che dal suo lavoro sindacalizzato.
L’attuale bolla immobiliare è una figlia bastarda della bolla speculativa nel mercato azionario della metà degli anni `90. I prezzi delle case, specialmente sulla West Coast e nel «Bos-Wash corridor» (il «corridoio» che unisce Boston, New York e Washington, ndt), hanno cominciato a salire alle stelle nella seconda metà del 1995, quando i profitti del dot.com sono stati reinvestiti nel mercato immobiliare.
Il boom è stato sostenuto da tassi ipotecari incredibilmente bassi, grazie principalmente alla disponibilità della Cina ad acquistare grandi quantitativi di buoni del tesoro americani nonostante i loro rendimenti bassi o addirittura negativi. Pechino è stata disposta a finanziare i mutuatari ipotecari americani come prezzo da pagare per tenere la porta aperta alle esportazioni cinesi. Analogamente, i mercati immobiliari più caldi – California meridionale, Las Vegas, New York, Miami e Washington D.C. – hanno attratto eserciti di formiche voraci, gli speculatori puri che comprano e vendono case scommettendo sul fatto che i prezzi continueranno a salire.
Naturalmente lo speculatore di maggior successo è stato George W. Bush. L’aumento del valore delle case ha sostenuto un’economia stagnante e attutito le critiche su politiche economiche altrimenti disastrose. I Democratici, per parte loro, non hanno affrontato seriamente la crisi di milioni di famiglie attualmente tagliate fuori dalla possibilità di possedere una casa. In una città come San Diego, ad esempio, meno del 15% della popolazione guadagna abbastanza da poter finanziare il costo di una nuova casa di valore medio.
Di conseguenza, se alla base della vittoria di Bush lo scorso novembre c’erano dei «valori», questi erano valori relativi alla proprietà, non certo principi morali né pregiudizi religiosi. Di fronte alla perversa bolla immobiliare, come sul costo dell’assistenza sanitaria e sull’esportazione dei posti di lavoro, la campagna di Kerry ha semplicemente girato a vuoto. Non ha offerto una convincente alternativa allo status quo.
Ma i Repubblicani hanno cose più serie di cui preoccuparsi dei Democratici. Mentre la bolla immobiliare sta per raggiungere l’acme, George Bush potrebbe scoprire che sta facendo surf su uno tsunami e che in lontananza si profila una gigantesca scogliera. A San Francisco la bolla è già scoppiata, e recentemente Business Week (11 aprile) ha titolato sui timori che sia alle porte una generale deflazione, forse di proporzioni internazionali. Come sarà la vita negli Stati uniti (o in Gran bretagna o in Irlanda) quando chiuderà il bancomat delle rendite immobiliari?
I giornali economici, come sempre, rassicurano i passeggeri che il loro sarà un «atterraggio dolce», un rallentamento più che un tracollo, ma anche un leggero scossone potrebbe essere sufficiente a porre fine all’attuale ripresa anemica gettando nella recessione tutte le economie agganciate al dollaro.
Più sinistramente, alcuni rispettabili economisti di Wall Street, come Stephen Roach della Morgan Stanley, hanno messo in guardia su un pericoloso cortocircuito tra la bolla immobiliare finanziata da stranieri e gli enormi deficit, commerciale e di bilancio, degli Stati uniti. («Il finanziamento dell’America» ha scritto «è un incidente che attende di verificarsi.»)
A conti fatti, l’egemonia militare Usa non è più sostenuta da un’equivalente supremazia economica globale. La bolla immobiliare, come il boom del dot.com prima di essa, ha temporaneamente mascherato una serie di contraddizioni economiche. Perciò il secondo mandato di George W. Bush potrebbe riservare qualche shakespeariana sorpresa di prim’ordine.
Traduzione Marina Impallomeni