E’ festa nelle piazze e nei villaggi della Bolivia, è silenzio perplesso a Washington, sconforto tra gli agenti antidroga del Chapare e negli uffici delle multinazionali del gas. La vittoria del socialista indio Evo Morales supera ogni aspettativa e scuote l’intero continente americano. Ci si attendeva un margine di qualche punto, un lungo dopo-elezioni e trattative tra i fronti rivali. Invece Morales ha superato agevolmente il 50 per cento dei consensi. I risultati ufficiali tarderanno qualche giorno, ma è la resa dei suoi avversari ad aprire da subito le porte della presidenza al leader dei cocaleros e simbolo dell’orgoglio etnico nel Paese piu indio del Sudamerica. «Inizia una nuova era nella storia della Bolivia – ha detto Morales appena conosciuti i risultati -. Chi mi ha portato qui sono i movimenti sociali e le lotte per difendere le nostre risorse naturali, i miei compagni dell’altopiano andino, dove sono nato, e quelli di Cochabamba, dove sono nato una seconda volta come sindacalista». Ed è proprio dal quartier generale dei campesinos della coca che Morales ha voluto pronunciare la prime parole da presidente eletto, tra lo sventolio delle bandiere dell’arcobaleno Inca, stanco, commosso, con una maglietta bianca (ha giurato che non userà mai giacca e cravatta), mentre a presidiare i festeggiamenti a La Paz restava il suo vice Alvaro García Linero, un professore di sociologia estraneo ai movimenti sociali, chiave di volta per sfondare nel ceto medio urbano. I risultati parlano chiaro. Vince la Bolivia degli altopiani (nella capitale, Morales ha addirittura superato il 60 per cento), dove le parole d’ordine sono la lotta al neoliberalismo, allo strapotere della minoranza bianca e ai contratti firmati negli anni Novanta per lo sfruttamento dei giacimenti. Subisce e alza la voce per chiedere autonomia la Bolivia di Santa Cruz, la città del gas e delle piantagioni di soia. Ma anche qui Morales ha preso un inatteso 33 per cento dei voti.
Raramente il voto in un Paese di soli 9 milioni di abitanti ha suscitato tanto interesse all’estero, e in particolare negli Stati Uniti. Sin dal suo esordio sulla scena politica, Morales si era proposto come un nuovo «incubo» per Washington, favorevole alla depenalizzazione della coca e alla nazionalizzazione del gas. Non ha mai nascosto il suo legame con Hugo Chávez e l’ammirazione per Cuba. In campagna elettorale e ancora ieri dopo i risultati, Morales è apparso più conciliante. «Con gli Stati Uniti siamo aperti al dialogo, ma non alla sottomissione. Siamo per la collaborazione sulla lotta alla cocaina e al narcotraffico, ma contro la distruzione dei campi». Resta da vedere ora se le dimensioni del successo non tenteranno invece Morales a tornare all’agenda radicale delle origini. Il suo Mas (Movimento al Socialismo) ha una forte maggioranza relativa in Parlamento e vuole definire una nuova Costituzione. Obiettivo primario è cambiare la Bolivia «neocoloniale e razzista», dove la minoranza bianca ha spadroneggiato per secoli, controllato l’economia, e le ruberie dei politici sono diventate proverbiali.