La sensazione è quella di stare in una macchina con il guidatore che abbia preso la patente con un corso al computer. La macchina è la politica monetaria comunitaria, il guidatore è ovviamente la Banca centrale europea. Un istituto certamente indipendente dalla politica europea – peraltro inesistente – e formato da personale molto competente. Ma terribilmente incline all’unilateralismo.
Il Bollettino mensile, reso pubblico ieri, giustifica il recente rialzo dei tassi di interesse: un più 0,25 che porta il tasso base al 3%, «contenuto, in termini nominali e reali», a conferma di una «politica monetaria accomodante». Ma soprattutto minaccia di trovare «necessaria una graduale rimozione» di questo atteggiamento per uno più restrittivo. Specie se «le ipotesi e lo scenario di base assunti dal direttivo verranno confermati».
Sono perciò illuminanti le attese del direttivo della Bce, fondate su «alcuni indicatori» macro. La crescita del Pil sembrerebbe una buona notizia (+0,6% nel primo trimestre), anche perché i «presupposti» su cui è fondata sembrano solidi: «crescita degli investimenti» grazie al basso costo del denaro e, di conseguenza, anche dei consumi. Ma per la Bce sembra più un problema che una risorsa.
I «rischi» sono di più ardua interpretazione, anche se sembra molto sottovalutato – nel testo, almeno – il «disordinato riassorbimento degli squilibri mondiali», con relative «pressioni protezionistiche» derivanti dalla «sospensione dei negoziati del Doha round». E’ infatti l’inflazione l’unico vero «nemico» ufficiale della Bce, ed è proprio questa preoccupazione a forzarne unilateralmente le scelte.
Il tasso di inflazione viaggia attualmente intorno al 2,5%, invariato rispetto al mese precedente; mentre nella seconda parte dell’anno e per tutto il 2007 dovrebbe restare sopra il 2%. Niente di clamoroso, anzi. Tanto più che l’unico fattore in grado di far salire il tasso di inflazione resta il prezzo dei prodotti energetici, petrolio in primis. Sia perché ci si aspettano ulteriori rialzi, sia perché gli «effetti indiretti degli scorsi rincari» starebbero ormai per scaricarsi sui prezzi delle merci finali. Un trascinamento verso l’alto che interessa anche i «prezzi amministrati» (le tariffe sulle forniture energetiche), le imposte indirette e, infine, anche sulla dinamica salariale.
Di qui parte la progonosi e la «cura» consigliata dalla Bce, a se stessa (alzare i tassi a mezzo punto per volta) e ai governi nazionali. I quali debbono «evitare politiche procicliche» (ossia di «sostegno allo sviluppo»), ma al contrario «accelerare il ritmo di risanamento dei conti pubblici», «attuando con rigore i programmi previsti dal lato della spesa» (da ridurre) e «utilizzando ogni ulteriore introito straordinario dal lato delle entrate per ridurre il disavanzo». Le «parti sociali», ovviamente, dovrebbero mantenere «il senso di responsabilità», e qundi i sindacati astenersi dall’alimentare la rincorsa dei salari.
I governi dovrebbero insomma infliggere alle proprie economie delle cure dimagranti drastiche con due soli obiettivi: risanare i conti e combattere l’inflazione. L’ideologia liberista afferma che questa è la via migliore per «dare un contributo duraturo alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro». Se poi non è vero e il «malato» (la stenta economia del vecchio continente) muore, tanto peggio per la realtà.
Come possano i governi risanare i conti pubblici mentre la Bce alza velocemente i tassi di interesse, resta un mistero. Lo stato italiano, per esempio, se pure oggi la Bce fermasse la sua corsa al rialzo, dovrà pagare nel 2008 ben 8 miliardi di euro in più per il servizio del debito. Miliardi che in qualche finanziaria dovranno venir fuori, tagliando qualcos’altro, magari di estremamente più utile.
L’unilateralismo astratto della cultura economica che governa l’attuale vertice di Francoforte, in una situazione in cui si moltiplicano i segnali di shock esterni (petrolio, guerre, ecc), comincia già ora a rappresentare un problema. L’Europa, come e più degli Usa, avrebbe bisogno di una Bce capace di tener d’occhio anche l’economia reale e le sue esigenze. Non solo l’inflazione, la ragioneria e l’ideologia.