La Banca Mondiale scopre la «Next Generation»

Il mondo oggi è giovane come mai nella sua lunga storia. Attualmente le persone di età compresa fra i 12 e i 24 anni che vivono sul pianeta sono 1,5 miliardi, 1,3 miliardi delle quali costituiscono la spina dorsale e il futuro dei paesi cosiddetti «developing», in via di sviluppo. Questo giovane esercito in marcia verso un difficile futuro è al centro del World Development Report 2007 della Banca mondiale dedicato alla «Next Generation» che, presentato a Singapore circa un mese, è stato «rilanciato» ieri a Roma, per sottolineare, con l’attenzione che merita, questo aspetto generazionale davvero epocale. E’ intorno ad esso infatti che l’istituzione globale (da qualche tempo nelle mani del discusso «falco» americano Paul Wolfowitz) incardina le proprie rinnovate speranze di lotta alla povertà, mai dismesse ma sempre frustrate da strategie fallimentari.
I giovani del mondo costituiscono un continente inquieto, unito solo dall’età che lo espone oltre misura ai rischi di un presente sempre più spesso così drammatico e incerto da ipotecare, o oscurare seriamente, il futuro. Ma è indubbio, come rileva la Banca mondiale, che la vita del pianeta è nelle loro mani, ed è dunque su loro che bisogna scommettere e investire.
Alcuni dati del Rapporto delineano la sfida da affrontare. I giovani costituiscono la metà dei disoccupati del globo e, a titolo d’esempio, il Medioriente e l’Africa del nord dovranno creare non meno di 100 milioni di posti di lavoro da qui al 2020 per «sistemare» la propria gioventù. Moltissimi – circa 130 milioni di coloro di età compresa fra i 15 e i 24 anni- non sanno né leggere né scrivere. Non meno di 300mila ragazzi di età inferiore ai 18 anni sono coinvolti in conflitti armati e altri 500mila sono arruolati in eserciti e forze paramilitari. Sono giovani tra i 15 e i 24 anni la metà dei 5 milioni di persone che nel 2005, secondo le statistiche ufficiali, hanno contratto nel mondo il virus dell’Hiv. Vittime prevalenti, come tristemente ormai acclarato, giovani donne e ragazze. Chi si diletta nell’esercizio di quantizzare tutto, ha calcolato che il Sudafrica rischia di vedere la crescita del proprio Pil ridotta di un quinto dagli effetti delle diffusione dell’Hiv/Aids, che resta la causa prevalente di morte dei giovani fra i 15-29 anni nell’Africa sub sahariana.
Che idee sollecita nella Banca mondiale un simile paesaggio? Attraverso statistiche e proiezioni, gli esperti di Washington hanno calcolato che i processi demografici e di invecchiamento in corso danno all’esercito dei giovani una sorta di dividendo generazionale (molte persone in età da lavoro con pochi figli e anziani a carico) che apre una finestra di opportunità da cogliere al volo da qui ai prossimi 40 anni, quando le diverse aree in via di sviluppo raggiungeranno i rispettivi «picchi» di gioventù. Quindi o si inverte subito il trend del declino o i paesi «meno sviluppati» usciranno definitivamente dall’orbita dello sviluppo, ritrovandosi sempre più gravati da un carico di umanità emarginata, invecchiata e disperata. Secondo una formula molto in voga, la crisi può anche essere trasformata in opportunità, ma il tempo stringe per prendere decisioni che «bandiscano la povertà e galvanizzino l’economia», come enfaticamente esorta uno degli estensori del rapporto, Emmanuel Jimenez.
Il World Development Report raccomanda ai politici tre strategie per migliorare l’«investimento in giovani»: «espandere le opportunità» migliorando l’istruzione e la salute; « accrescere le capacità», fornendo ai giovani informazioni e formazione; « offrire seconde opportunità a chi è rimasto indietro a causa di circostanze difficili o per mancanza di scelte». Tutte queste strategie dovranno prendere di petto le diverse «transizioni» che i giovani si trovano a vivere in fasi differenti della propria vita, e che qualcuno si vede piombare addosso tutte insieme: il momento dell’istruzione, quello della ricerca del lavoro, la cura di se stessi, la formazione della propria famiglia, l’esercizio della cittadinanza.
Magnifica architettura di pensiero se non fosse che, come lo stesso Rapporto riconosce, nell’Africa subsahariana il costo di uno studente di scuola secondaria è tre volte superiore a quello di uno studente di primo livello. E quando c’è da affrontare anche un’emergenza sanitaria come quella costituita dall’Aids, le scelte sono obbligate e spesso non ce n’è per nessuno. Paiono così venire dall’oltre mondo le parole della coautrice del Rapporto, Anita Murthi: «Incanalare le conoscenze e la naturale creatività può stimolare la crescita economica, produrre effetti benefici di lunga durata che avranno ripercussioni ben oltre questa generazione. Insomma, influenzeranno i risultati della lotta alla povertà nei prossimi 40/50 anni». Più attinente alla realtà quel che non si mette nei comunicati stampa ma si scrive nel rapporto vero: «Poiché il lavoro è il principale capitale del povero, renderlo più produttivo è il modo migliore per ridurre la povertà». Così è molto più chiaro, e si capisce che non c’è proprio niente di nuovo.