La Francia arriva alla sfida per l’ Eliseo sull’ onda di tre crisi combinate, i cui effetti sono stati devastanti sul piano politico, economico e sociale: il successo di Le Pen al primo turno del 2002, il no all’ Europa e la rivolta delle banlieues hanno creato scompensi psicologici e morali, scosso certezze storiche e culturali, indotto nella vita quotidiana la sindrome della disfatta e del declino. E’ possibile che il risultato di domani confermi il malessere con una nuova «sorpresa» Le Pen. Ma a rischio di peccare di ottimismo, l’ impressione è che la Francia abbia messo in campo risorse e antidoti per ridurre il fenomeno, avviare riforme, guardare con fiducia all’ Europa. E’ stata una campagna elettorale in cui si è parlato molto di futuro. Nessuno ha fatto il bilancio dell’ era Chirac, tutti hanno detto quello che vogliono fare domani. I probabili finalisti appartengono a una nuova generazione. Per quanto avversari, condividono molte diagnosi e terapie, al punto che Tony Blair è stato un riferimento sia per una sinistra che volta le spalle agli arcaismi, sia per una destra che voglia dirsi moderna e generosa. Anche la maggioranza dei francesi ha ritrovato la speranza. Lo si capisce dall’ afflusso – soprattutto di giovani – di nuove iscrizioni alle liste elettorali, dalla probabile alta partecipazione al voto, dalle presenze di massa a raduni e comizi, dall’ audience televisiva e dall’ intensità della campagna in rete. Di solito si dice che l’ elezione presidenziale è l’ incontro di un uomo (o di una donna) con il popolo: questa volta è l’ incontro di un uomo (o di una donna) con uno stato d’ animo, la voglia di voltare pagina, persino nel linguaggio della politica. Nicolas Sarkozy è un cinquantenne che si presenta per la prima volta. Ha riunificato la destra su una proposta di modernizzazione del sistema-Paese. Ha obbligato i francesi a riflettere sull’ effettiva qualità del modello sociale, sul carattere elitario delle classi dirigenti, sull’ integrazione mancata di milioni di immigrati. Ha trasformato le elezioni in un referendum sulla sua persona. Da tre anni è in testa nei sondaggi. Non è Napoleone, ma è riuscito a far credere di essere la migliore risposta al declino. Se arriverà all’ Eliseo avrà anche vinto la scommessa di recuperare alla democrazia una parte dell’ elettorato di Le Pen, offrendo più sicurezza e legalità ai francesi esasperati. «Gli elettori del Fronte – ha detto – non sono tutti fascisti, ma gollisti ai quali è stata rubata l’ auto due volte». Anche Ségolène Royal è una cinquantenne che si presenta per la prima volta. Il fatto che sia una donna aggiunge la suggestione della svolta epocale, della rivoluzione di mentalità e costume di cui la Francia sa sempre essere protagonista. Anche se dovesse perdere, la sua cavalcata nelle praterie del machismo (persino nella sua famiglia politica) sarà stata comunque un evento storico non privo di conseguenze. Il progetto politico, condizionato dall’ ala massimalista della «gauche», è rimasto a metà del guado fra innovazione e conservazione, riformismo e statalismo. Ma avendo ballato da sola, un pò fuori dalle strutture del partito, come fece il suo maestro Mitterrand, ha in serbo molte carte per metterlo in opera senza condizionamenti nel caso arrivasse all’ Eliseo. L’ ascesa di Ségolène e il protagonismo di Sarkozy hanno «normalizzato» il gioco politico dopo il trauma del 2002. Si è riproposta – pur senza progetti davvero alternativi o ideologici – la sfida fra il campione della sinistra e il campione della destra e si è ridotta ai minimi termini la sinistra movimentista. Un’ altra importante novità è la crescita dell’ «estremista di centro» François Bayrou, il quale ha visto il suo partito disperdersi alla corte di Sarkozy ma il suo elettorato gonfiarsi, soprattutto a spese della Royal. I sondaggi sono ondivaghi sulle sue fortune. Potrebbe restare fuori al primo turno, ma sarebbe in grado di battere Sarkozy se al ballottaggio riuscisse a costruire un’ alleanza di centro sinistra. Una sua vittoria sarebbe più tranquillizzante per quei francesi che non si fidano dell’ «inesperta» Ségolène o dell’ «autoritario» Sarkozy, ma confermerebbe la voglia di Europa e di modernizzazione del Paese, mettendo in discussione anche un sistema politico incentrato sull’ elezione del «monarca» repubblicano. I tre candidati rappresentano i tre grandi partiti che dissero sì all’ Europa e che vennero battuti dalla Francia protestataria, sfiduciata, tendenzialmente xenofoba. Basterebbe questo evento recente a non autorizzare illusioni. Ma oggi, questi stessi candidati raccolgono insieme quasi il 75 per cento delle intenzioni di voto. Una «maggioranza» sufficiente a immaginare una Francia diversa. Almeno fino a domani sera.