L’ intelligence Usa: «In Iraq è guerra civile»

La situazione in Iraq è da guerra civile, il Paese è sull’ orlo del baratro, ma un ritiro affrettato delle truppe americane provocherebbe una catastrofe regionale. Lo afferma il Nie (National Intelligence Estimate), il più traumatico rapporto mai preparato dai sedici diversi servizi, novanta pagine intitolate «Prospettive della stabilità in Iraq: l’ impegnativo percorso che ci attende». Secondo i servizi, le lotte interne costituiscono ormai un pericolo maggiore di Al Qaeda, e vanno sedate. Il Nie ammonisce che un evento improvviso, come uno stermino, l’ assassinio di un leader religioso, l’ abbandono del governo da parte dei sunniti, «renderebbe ancora più convulsa la crisi», e per rovesciare questa tendenza «occorrono progressi rapidi e tangibili». Ma sostiene che se gli Usa se ne andassero entro 12-18 mesi, «si verificherebbe un significativo aumento della violenza settaria e i Paesi vicini probabilmente interverrebbero con le armi», dall’ Iran alla Turchia, e il governo crollerebbe. «L’ intelligence nel suo complesso – scrive il rapporto – ritiene che l’ espressione “guerra civile” non rifletta adeguatamente la complessità del conflitto. Ritiene tuttavia che ne descriva accuratamente alcuni elementi chiave, quali gli scontri etnici e settari, il cambiamento oceanico del tipo di violenza, gli esodi forzati della popolazione». Questa situazione, prosegue, rende molto più difficile il processo di riconciliazione tra le varie forze, e bisogna pertanto premere sui sunniti perché collaborino, e sugli sciiti e i curdi perché facciano loro concessioni». «Le attuali capacità della coalizione – termina il Nie – non possono essere diminuite, perché elemento essenziale della sicurezza irachena». Se lo fossero, le stragi dei civili salirebbero a livelli spaventosi, e l’ Iraq o precipiterebbe nel caos spaccandosi in diverse parti, o dopo un lungo periodo di anarchia cadrebbe in mano a un «uomo forte». La Casa Bianca e il Pentagono hanno interpretato il rapporto come un avallo all’ aumento delle truppe americane: «Ci aiuta a capire la situazione e a rispondere alla sfida che rappresenta» ha commentato Tony Fratto, un portavoce di Bush. Ma il ministro della Difesa Robert Gates ha smentito che in Iraq sia in corso una guerra civile. «È uno slogan che non rende l’ idea, una semplificazione esagerata – ha detto -. In Iraq si combattono quattro guerre: una tra gli sciiti a sud, una tra le etnie e le sette a Bagdad; una contro i sunniti nel centro del Paese; e una contro Al Qaeda». Il consigliere della Sicurezza della Casa Bianca Stephen Hadley lo ha appoggiato: «Non è guerra civile, si tratta di più guerre assieme. La crisi è grave ma siamo certi che si possa ancora risolvere». Gates e Hadley hanno assicurato che i 21.500 soldati mandati da Bush «faranno grande differenza». Il ministro ha però ammesso che sinora ne sono arrivati a Bagdad solo il 55-60 per cento, «e conviene affrettarsi». Per i democratici, il rapporto, di cui sono state pubblicate solo nove pagine, è stato invece la conferma che né le truppe americane né il governo iracheno mantengono il controllo in Iraq, e un’ escalation del conflitto sarebbe controproducente. Le polemiche si sono accentuate dopo che l’ Ufficio del Bilancio del Congresso ha reso pubblico che i 21.500 avranno bisogno di 20-25 mila uomini in appoggio, per un totale di 45 mila circa. E dopo l’ annuncio della Casa Bianca che Bush chiederà alle Camere altri 100 miliardi di dollari per la guerra nel 2007, in aggiunta ai 70 già ricevuti, e nel 2008 ne chiederà altri 145, portando il totale a quasi 700 miliardi di dollari, più della guerra del Vietnam. I democratici e alcuni repubblicani stanno per approvare una mozione del Senato contro Bush. Come fece Richard Nixon nel ‘ 68 per il Vietnam, l’ ex first lady Hillary ha promesso che se eletta presidente porrà fine al conflitto. La presentazione del rapporto, atteso a novembre ma rimandato a causa delle elezioni parlamentari, ha accresciuto il timore che l’ amministrazione si accinga ad attaccare l’ Iran, accusato di fomentare la violenza in Iraq. Gates lo ha smentito: «Non intendiamo muovergli guerra». Ma il ministro ha sottolineato che a giorni il comando Usa a Bagdad terrà una conferenza «sulle crescenti interferenze iraniane». Andiamo adagio, ha spiegato Gates «perché vogliamo essere sicuri di ciò che diremo». A giudizio del ministro, l’ Iran finanzia, addestra e arma vari gruppi d’ insorti. Su Gates, i democratici si sono mostrati altrettanto scettici quanto sul Nie. Ricordano che nel 2002 il Nie e il predecessore di Gates, Donald Rusmfeld, proclamarono che Saddam Hussein possedeva armi di sterminio – un clamoroso sbaglio – e sulla base del suo rapporto il Congresso autorizzò l’ invasione dell’ Iraq.