L’ ambasciatore Usa a Bagdad: «Stiamo trattando con gli insorti»

Gli Stati Uniti hanno incontrato e continuano a incontrare leader sunniti ribelli in Iraq al duplice scopo di indurli a collaborare con il governo Maliki e a formare un’ alleanza contro Al Qaeda. D’ accordo con Bagdad, sono disposti a concedere loro un’ amnistia se deporranno le armi e se parteciperanno al processo politico per la riconciliazione nazionale. Lo ha dichiarato l’ ambasciatore americano uscente in Iraq Zalmay Khalilzad in un’ intervista al New York Times domenica e in una conferenza stampa ieri a Bagdad. «Non negoziamo con i terroristi – si è affettato ad aggiungere l’ ambasciatore – solo con gli insorti che possono accettare la pace. Anzi la sfida è di staccarli in numero sempre crescente da Al Qaeda». Le dichiarazioni di Khalilzad, che diverrà ambasciatore all’ Onu e verrà sostituito in Iraq da Ryan Crocker, l’ ambasciatore in Pakistan, sono rimbalzate al Congresso, ansioso di porre fine alla guerra. Il New York Times ha ricordato che Bush si è sempre opposto alle trattative con i ribelli, chiedendosi se Khalilzad abbia agito a sua insaputa. Ma l’ ambasciatore ha lasciato intendere che gli incontri segreti sono stati autorizzati dal presidente: «Ne hanno tenuti e continuano a tenerli anche i nostri comandi militari – ha spiegato – e gli insorti sono in contatto altresì con il governo Maliki». Khalilzad ha però escluso concessioni al nemico: «Il più grande tributo ai sacrifici delle nostre truppe e alla nostra strategia sarebbe la sua adesione alla causa per cui combattiamo». Secondo il New York Times, i colloqui incominciarono tra la fine del 2005 e l’ inizio del 2006, e per alcuni di essi l’ ambasciatore si è recato ad Amman in Giordania. Tra i suoi interlocutori, vi sarebbero stati le Brigate rivoluzionarie 1920 e l’ Esercito islamico in Iraq, il gruppo che assassinò il giornalista italiano Enzo Baldoni. I negoziati si sarebbero interrotti per qualche mese dopo l’ attacco alla moschea sciita di Samarra un anno fa. Ma Khalilzad ha rifiutato di scendere nei particolari: «Sono in gioco vite umane – ha protestato – non si possono compromettere incontri futuri». Un loro fautore, ha ammesso, fu il generale George Casey, il comandante delle operazioni militari poi sostituito dal generale David Petraeus. L’ ambasciatore non si è sbilanciato sulle prospettive diplomatiche e sulla nuova offensiva Usa a Bagdad. «Sono cautamente ottimista, è possibile che abbiano successo», ha detto. «La violenza a Bagdad è scesa del 25 per cento, si è concluso un accordo sulla spartizione del petrolio tra le etnie, e l’ apparato di sicurezza iracheno si è rafforzato». Ma l’ America, ha aggiunto, è impaziente, e si aspetta altre misure dal governo Maliki, come la reintegrazione di molti baathisti «licenziati» alla caduta di Saddam Hussein. Al Congresso i democratici si sono interrogati sui motivi delle dichiarazioni di Khalilzad: il tentativo di pace è serio o è solo un modo di guadagnare tempo per Bush, segnalando che il presidente e Maliki si adoperano per una soluzione politica della crisi? L’ interrogativo era già sorto un anno fa, quando l’ ambasciatore aveva confidato al giornale arabo Al Hayat di dialogare coi ribelli, sottolineando che non sarebbe tornato sull’ argomento.