Kosovo «indipendente» Ma la Serbia non ci sta

È tutto pronto: l’indipendenza sarà proclamata unilateralmente domenica 17 alle 17. Le bandiere con l’aquila bicefala albanese sventolano ovunque a Pristina, anche se non si vede in giro quella nuova che dovrebbe essere tricolore con dentro il profilo del Kosovo e stelle (più americane che europee). Tutto è deciso. Ed è qui la festa. Dove non festeggiano, anzi esprimono rabbia e pianto è nelle enclave serbe. Soprattutto a Kosovska Mitrovica dove ieri l’assemblea tesa del parlamento dei serbi del Kosovo riunito nell’aula magna di un istituto tecnico alla presenza di un miglia di persone addolorate e infuriate, ha lanciato la mobilitazione di piazza per lunedì 18 in tutte le enclave, pronti «non alla secessione, secessionisti sono i leader kosovaro albanesi, ma alla dichiarazione che il Kosovo è Serbia». Ora tira aria di dubbio anche a Pristina, si parla di «giallo». Non pare certo in discussione la proclamazione unilaterale vera e propria. Che ci sarà. Ma la possibilità di capire la vastità del precipizio che si apre. Perché ieri sono accadute cose che vanno, drammaticamente, in questa direzione.
«Il Kosovo ha la sua agenda per la dichiarazione dell’indipendenza, e rispettera questa agenda». Così il primo ministro kosovaro albanese Hashim Thaqi, ex leader dell’Uck, ha risposto alla domanda sulla data dell’annuncio dell’indipendenza in una conferenza stampa a Pristina, deludendo assai i presenti. Thaqi ha parlato già del dopo proclamazione di indipendenza assicurando che nel Kosovo indipendente «nessuno si sentirà mai discriminato» – tanto la discriminazione contro serbi e rom è già avvenuta in questi nove anni. Quanto al suo incontro con il premier macedone Nikola Gruvesky, con cui ha discusso di confini, ha ribadito l’impegno ad avere «con tutti i paesi confinanti ottime relazioni». Tutti davano per scontato a quel punto che il premier avrebbe annunciato la «data». Invece alla prima domanda dei giornalisti, l’ex leader dell’Uck ha fatto un ampio sorriso ripetendo: «Il Kosovo ha la sua agenda e noi la manterremo». È parso chiaro a tutti che doveva essere intervenuto, all’ultimo, qualche motivo di prudenza. Perché?
La risposta sta probabilmente nello scontro in corso al Consiglio di sicurezza dell’Onu che, convocato d’urgenza ieri da Russia e Serbia ha visto una maggioranza di paesi contrari alla proclamazione unilaterale che si annuncia a Pristina per domani. In particolare l’ambasciatore russo Vitaly Churkin, citato dall’agenzia di Belgrado Tanjug ha detto che solo cinque paesi – Usa, Francia, Gran Bretagna, Belgio e Italia – dei quindici membri hanno appoggiato il piano proposto dall’ex mediatore dell’Onu per il Kosovo, Martti Ahtisaari, che prevede l’indipendenza del Kosovo. Parole confermate, dopo la seduta del Consiglio, dal ministro degli esteri serbo Vuk Jeremic: «La maggioranza dei membri del Consiglio – ha detto – ha appoggiato invece la prosecuzione delle trattative sullo status finale per il Kosovo perché sono convinti che solo tramite le trattative e in modo pacifico si può risolvere un problema cosi complicato». E un peso non indifferente deve aver avuto la dichiarazione, poi ammorbidita, ma comunque forte del ministro degli esteri russo Serghei Lavrov secondo il quale, in caso di proclamazione e riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, Mosca «cambierà la sua politica nei confronti delle repubbliche separatiste georgiane dell’Ossezia del sud e dell’Abkhazia».
E mentre tutti nei contingenti Nato mostrano sicurezza e negano la possibilità di incidenti, l’esplosione di una granata nella tarda serata di giovedì a Kosovska Mitrovica, in una casa presso la palazzina che deve ospitare la futura missione Eulex dell’Unione Europea che deve andare a gestire l’indipendenza etnica (ma non ha l’approvazione dell’Onu), oltre ai danni provocati ha riportato tutti alla realtà evocando il peggio. Una conferma dell’onda lunga della «bomba» è venuta ieri mattina dal preoccupato comunicato dell’Unione europea che guarda «con timore e attenzione» all’esplosione avvenuta a Kosovska Mitrovica proprio «nei pressi dell’edificio in cui dovrà operare la futura missione civile europea Eulex». «È una cosa seria – hanno dichiarato dalla presidenza slovena di turno della Ue – speriamo che sia un episodio isolato e che non si ripeta».
Dulcis in fundo, ma mica tanto, l’insediamento alla presidenza serba del neoeletto Boris Tadic, che ha giurato nel giorno della festa nazionale serba proprio alla vigilia dell’indipendenza unilaterale del Kosovo, cioè della secessione del 15% del territorio serbo che la costituzione, voluta anche da Tadic, dichiara «terra irrinunciabile». Nel suo giuramento Tadic ha detto: «Impegnerò tutti i miei sforzi per conservare la sovranità e l’integrità territoriale della Serbia, compreso Kosovo e Metohija (la Terra della chiesa ndr), come parte costituente della Repubblica di Serbia». «Non rinuncerò mai a che il Kosovo rimanga nostro e dedicherò tutti i miei sforzi perchè la Serbia entri nell’Unione Europea», ha aggiunto Tadic dopo il giuramento parlando ai deputati del parlamento. Poi il presidente serbo in una conferenza stampa ha annunciato che la Serbia ridurrà le relazioni diplomatiche con i paesi che riconosceranno l’indipendenza del Kosovo.
Fonti della presidenza serba e del premier Vojslav Kostunica fanno intendere che si arriverà anche al «richiamo degli ambasciatori» dai paesi che riconosceranno lo staterello Kosovo ma, almeno per ora, non ci sarà rottura diplomatica. Lo scontro però sarà duro, se lo stesso filo-occidentale e filoeuropeo Tadic parla di «congelamento dei rapporti» aggiungendo «non faremo la guerra, ma rivedremo i rapporti con tutti i paesi favorevoli alla partizione della Serbia». Se l’Unione europea, davvero apprendista stregone, si aspettava «gelo» da Belgrado, ha avuto e avrà gelo..