Kosovo, elezioni farsa

Si chiamava Svetlana Stankova, la donna serba di 43 anni, madre di due figli, uccisa il 14 ottobre scorso con una mina piazzata nelle adiacenze di casa sua da estremisti nazionalisti albanesi nel villaggio di Klokot (Gjilane), lo stesso dove un mese fa sono state fatte saltare in aria 4 abitazioni di serbi. Svetlana ieri non è potuta andare a votare alle elezioni amministrative farsa. Formalmente a votare sarebbero dovuti andare in un milione e300mila. Ma con Svetlana – ultima vittima di una litania di morti che non hanno mai fatto notizia – non hanno potuto votare i più di mille serbi, rom, goranci e albanesi moderati, uccisi dai miliziani ex Uck a partire dall’ingresso delle truppe Nato in Kosovo, dall’estate del 1999. Né hanno potuto votare i 1300 desaparecidos, serbi, rom e albanesi moderati, rapiti e fatti sparire chissà dove. Così come non hanno votato i 250.000 serbi e rom fuggiti nel terrore grazie alla contropulizia etnica avviata sotto gli occhi dei contingenti «di pace» della Kfor-Nato (35mila uomini). Questi sono i «risultati» della guerra rivendicata da D’Alema. Hanno però votato solo i kosovaro-albanesi. Per la terza volta dalla fine dei bombardamenti «umanitari» della Nato contro la Jugoslavia nel `99. Era considerato come l’ultimo banco di prova per le future possibilità di coesistenza pacifica tra le due etnie della regione amministrata dall’Onu, la maggioranza albanese e la minoranza serba. Ma i serbi rimasti però ieri non sono andati a votare, determinati a boicottare il voto, in segno di protesta contro le tragiche condizioni in cui sono costretti adesso a vivere. L’Occidente che con le Amministrazioni Onu (Unmik) ha di fatto avviato l’indipendenza della regione, in aperto dispregio degli accordi di Kumanovo, a questo punto spinge il piede sull’acceleratore, forte anche del caos in Jugoslavia. Punta al fatto compiuto per nascondere la verità: che per la legalità internazionale lo status del Kosovo è quello di regione autonoma della Serbia e quindi della Federazione jugoslava (verso la Serbia-Montenegro). Le elezioni amministrative servono per consolidare la finta pace interna. In questi giorni il governatore Onu per il Kosovo, Michael Steiner, per convincere i pochi serbi rimasti a votare – ma dove potevano votare i profughi, non l’ha detto -, ha proposto la nascita di «municipalità serbe»: una sorta di bantustan che nemmeno Milosevic ha mai pensato per gli albanesi.

Intanto tra un voto e l’altro, con candidati in guerra fra di loro per spartirsi la torta kosovara (v. i cosiddetti aiuti internazionali e i corridoi strategici), ma sempre d’accordo per l’indipendenza, crescono depositi di armi, santuari della guerriglia che opera in Macedonia, uccisioni di serbi e albanesi moderati. Al voto di ieri 68 formazioni. I principali partiti, entrambi albanesi, sono la Lega Democratica del Kosovo (Ldk) guidata da Ibrahim Rugova, e il Partito Democratico del Kosovo (Pdk), guidato da Hashim Thaci, ex leader dell’Uck. Entrambi vogliono l’indipendenza del Kosovo. Ma in questi tre anni l’ex Uck ha decimato con uccisioni la leadership de Ldk di Rugova.

Ma davvero vanno così le cose in Kosovo? Peggio. Spesso c’è la farsa: arriva anche il procuratore Carla Del Ponte a promettere, come ha fatto il 21 ottobre scorso che «entro la fine dell’anno sarà incriminato all’Aja il primo albanese del Kosovo». Lo fa da tre anni, ma non accade mai. Eppurela cronaca di questi giorni dice che ce ne sarebbero gli estremi. Il 10 ottobre i militari italiani sono dovuti intervenire a Pec (Peja) contro una manifestazione di mille albanesi scesi in piazza con sassi e molotov per cacciare un pullman di 50 anziani serbi, fatti rientrare dall’Onu in un villaggio adiacente. In piazza c’erano leader locali che facevano un comizio per le elezioni di ieri, e che aizzavano a cacciare i serbi. Sempre a Pec (Peja) il contingente italiano ha scoperto un deposito di armi e materiale di contrabbando: in carcere è finito il cugino del generale Agim Ceku, ex capo militare dell’Uck, e ora capo del Tmk , la polizia del Kosovo pagata dall’Onu, insieme ad Ekrem Lluka, proprietario della «Dukagjini», il più grosso gruppo imprenditoriale del Kosovo-ovest. Giustizia fatta? Poche ore dopo erano tutti in libertà. Per andare a votare ieri.

L’Osce ha monitorato il voto: è la stessa organizzazione che il 24 marzo 1999, guidata dall’americano William Walker, abbandonò la sua missione internazionale autorizzando di fatto i bombardamenti Nato. E’ iniziato lo spoglio delle schede. I primi risultati oggi, quelli definitivi a dicembre. Va tutto bene.