Pressing finale sulla missione in Afghanistan. Un pressing del quale forse si occuperà personalmente Kofi Annan: il segretario generale dell’Onu è arrivato a Roma ieri sera, dove ha subito incontrato a cena il vicepremier Francesco Rutelli. La tabella di marcia prevede per oggi l’incontro con le massime cariche dello stato: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il presidente del consiglio Romano Prodi e i presidenti di camera e senato, Fausto Bertinotti e Franco Marini. Ma il pezzo forte è un altro. Ed è atteso per il primo pomeriggio, quando Annan si presenterà in un’audizione importante dinanzi alle commissione esteri di camera e senato su invito dei presidenti Lamberto Dini e Umberto Ranieri. Un anticipo del suo discorso, forse, l’ha già fornito il suo rappresentante a Kabul, Tom Koenigs, che ha invitato l’Italia a impegnarsi con più uomini in Afghanistan sull’esempio della Gran Bretagna. Difficile che il segretario generale delle Nazioni unite sconfessi la richiesta di Koenigs: stesso concetto, quindi, ma con voce più autorevole. Per l’Ulivo che vuole rimanere a Kabul e Herat, quindi, Kofi Annan potrebbe rivelarsi un utile alleato. E forse l’ultimo, decisivo asso nella manica. Certo, Annan non parlerà solo di Afghanistan, anzi: secondo la scaletta, quello di oggi sarà un confronto ampio e complesso, che partirà dalla riforma dell’Onu. Terreno su cui il segretario generale potrà offrire anche l’assist decisivo ricordando l’ingresso dell’Italia, a gennaio, nel Consiglio di Sicurezza del palazzo di vetro per i prossimi due anni.
Tutto ciò proprio mentre sabato all’assemblea dei pacifisti «autoconvocati» a Roma si affileranno metaforicamente le armi in vista del voto decisivo della settimana prossima. Tra le decine di adesioni di associazioni, intellettuali e politici anche quella del sottosegretario Paolo Cento (Verde), di Cesare Salvi (sinistra Ds) e molti altri rappresentanti dei movimenti. Ieri un preludio più «morbido» al confronto l’ha offerto un incontro di alcune associazioni pacifiste (tra cui Libera, Arci e Tavola della pace) con i parlamentari Verdi, Ds e Prc. Non tutti nel movimento sembrano accettare la strategia dei piccoli passi. Se per Franco Lotti, della Tavola della pace, sono indubbie le conquiste del centrosinistra, prima fra tutte il ritiro dall’Iraq, «che deve essere il punto di partenza per un processo di pace che duri tutta la legislatura», altri non ci stanno. «Mi rifiuto di considerare la politica estera come una semplice riduzione del danno – attacca Fabio Corazzina, coordinatore di Pax Christi – non possiamo abbandonare l’idea di una politica estera non violenta. Al movimento per la pace non si può chiedere di sostenere l’opzione minima della riduzione del danno».