Kirchner è al bivio: duro braccio di ferro con la Shell

Con la Esso ha aumentato il prezzo delle benzina. Il presidente invita al boicottaggio. Introiti caduti del 70%
«Aumenti abusivi» Dopo il successo con i tango bond, il leader argentino cerca di sfruttare la sua forza. Ma gli alfieri del mercato gridano alla «deriva populista»

Dopo quasi due anni di governo il presidente Nestor Kirchner è a un bivio per lui e per l’Argentina. E’ popolarissimo ma il 27 febbraio scorso ha incassato la prima sconfitta elettorale cedendo Santiago del Estero, la provincia del nord-est al confine con il Paraguay che i peronisti controllavano da mezzo secolo. L’economia è cresciuta, dopo il collasso del 2001 e 2002, a un ritmo superiore all’8% nel 2003 e 2004, ma una recente raffica di aumenti dei prezzi di alcuni prodotti alimentari di base e dei combustibili targati Shelle ed Esso, accende i timori di un’impennata inflazionistica – nei primi due mesi dell’anno il costo della vita è cresciuto del 2.5% -, che rischia di far saltare le previsioni del 7-10% per il 2005. Alla fine di febbraio l’ostinata proposta argentina di ristrutturazione del debito privato si è chiusa, contro i venti e le maree (dell’Fmi, delle banche, dei risparmiatori privati), con un grande successo – il 76% dei tango bond pagati al 30% del loro valore nominale – e ha consentito al ministro dell’economia Roberto Lavagna di annunciare la settimana scorsa la fine del default per 81.8 miliardi di dollari dichiarata alla fine del 2001, ma dopo il debito economico l’Argentina si trova sempre di fronte un debito sociale ancor più ostinato da debellare, con il 44% dei 37 milioni di argentini ancora in condizioni di povertà, la metà dei lavoratori in «nero» e il 54% di quelli formali che guadagna meno del minimo vitale. In breve, Kirchner e l’Argentina sono a un bivio. In vista delle importantissimi elezioni parlamentari di ottobre. Ma non solo: anche dei prossimi negoziati fra lo spagnolo Rodrigo Rato, direttore dell’Fmi, e il ministro Lavagna, e l’avvio, il 20 aprile, del primo round di negoziati fra il governo argentino e le «privatizzate», ossia le imprese straniere a cui l’orda menemista ha svenduto negli anni `90 i servizi pubblici e che reclamano un aumento delle tariffe finora sempre negato.

Per questo la reazione del presidente peronista all’aumento dei prezzi del gasolio e della benzina, fra il 2.6 e il 4.2%, deciso giovedì 10 marzo dalla Shell, a cui si è poi accodata la Esso, invocando l’aumento internazionale del costo del petrolio, è stata durissima. «Non dobbiamo più comprare neanche una goccia di benzina dalla Shell, una delle peggiori compagnie del mondo», ha tuonato Kirchner il giorno successivo, chiedendone il boicottaggio «senza violenza». La spagnola Repsol-Ypf e la brasiliana Petrobras, le altre compagnie che detengono le maggiori quote del mercato argentino, non si sono accodate a Shell ed Esso.

Il gruppo anglo-olandese controlla il 16.5% del mercato argentino dove conta su un migliaio di stazioni di servizio, concentrate a Buenos Aires e provincia. Un mese fa il presidente della Shell argentina, Juan José Aranguren, aveva reso pubblica la sua intenzione di restare nonostante «le enormi perdite» del 2002-2003, «di fronte alle buone prospettive di crescita dell’economia». Dopo gli aumenti, Kirchner aveva accusato la Shell e la Esso che l’ha seguita a ruota di «cospirare contro lo sviluppo economico del paese» e di «mancare di solidarietà verso il popolo argentino». In mano si riserva la carta di ricambio della Pdvsa venezuelana, dopo gli accordi firmati il mese scorso con il presidente Chavez molto centrati sul petrolio.

L’invito al boicottaggio dei «prezzi abusivi», ripetuto anche in pagine a pagamento sui principali giornali, è stato molto apprezzato dai gruppi di difesa dei consumatori, che hanno prospettato analoghe iniziative contro i rincari degli alimenti, e dai gruppi di disoccupati organizzati: i piqueteros di Luis d’Elia, vicini al governo, sono andati subito a presidiare le stazioni di servizio della Shell che nel giro di una settimana ha visto diminuire fra il 60 e il 70% dei suoi introiti. «Non esiste alcun pericolo di una fiammata inflazionaria», ha detto Alberto Fernandez, il capo di gabinetto di Kirchner (una sorta di primo ministro ombra), «il presidente è stato molto chiaro chiedendo ai cittadini di non comprare da chi ha aumentato abusivamente i prezzi, e la gente ha capito». Gli ha fatto eco il ministro Lavagna sostenendo che la caduta di vendite e introiti della Shell è solo «una conseguenza del mercato», non del boicottaggio. L’alternativa, paventata da più parti – a cominciare dal governo -, è l’imposizione del controllo dei prezzi.

Il «mercato» e i suoi alfieri indigeni e internazionali già gridano alla «deriva populista» del peronista Kirchner. Il Financial Times è uscito lunedì con un editoriale intitolato alla sua «follia» che, assicura, non avrà altro effetto se non quello di allontanare i capitali stranieri.