Katrina, l’Iraq americano

Documentari su Hezbollah, documentari su Bin Laden, profili di barbuti terroristi mai sentiti prima che sarebbero ancora più pericolosi di lui, persino uno speciale di due ore che si intitola semplicemente Terror 0.2, allarmi arancioni e rossi che vanno o vengono, signore di mezza età che dirottano voli: mentre negli aereoporti è il caos totale, le linee di fronte agli uffici bagagli smarriti interminabili, e vicino agli scarponi da deserto dei soldati incaricati di aprirti la borsa si accumulano piccole montagne di cosmetici da poco prezzo (sono le nuove regole sui liquidi, di cui sembrano fare parte anche il mascara e il rossetto), il marketing della paura funziona a piena forza. Lamentarti perché ti hanno perso la valigia non è patriottico e poi – ti spiega esasperato l’impiegato della linea aerea – “che ci possiamo fare se quelli delle libertà civili non approvano dei metal detector più decenti perché qui negli Usa si è pudichi?”
Con il Libano e l’Iraq (e senza contare Mel Gibson e Tom Cruise) non è che questa fosse un’estate sonnacchiosa dal punto di vista delle news, anche per le insaziabili fauci dei tg non stop delle reti via cavo. Ma niente vende bene come la paura. Dopo aver totalizzato un colpo da maestro in fatto di public relations, ed essersi presi quasi tutto il merito dello sventato attacco terroristico in Inghilterra (il ministro della sicurezza nazionale Chertoff e i portavoce dell’amministrazione erano molto più visibili nei media di quanto lo fossero Blair e la sua squadra antiterrorismo – tanto che i rating d’approvazione presidenziale sono tornati per un attimo al di sopra del 40%), Bush e co. avevano in testa di poter veleggiare sull’onda del terrore da qui a novembre. Dopo tutto, tra Heathrow e le elezioni per il Congresso c’è un nuovo anniversario di 9/11, a cui l’establishment politico e quello mediatico stanno preparandosi in grande pompa e, come al solito, senza alcuno scrupolo. Persino Katie Couric, la nuova pagatissima star delle Cbs News ha deciso di debuttare alla sua scrivania di anchorwoman proprio in quell’occasione. Ma tra oggi e quella data c’è un anniversario che per George W.Bush è potenzialmente molto pericoloso, quello di Katrina.
Un anno dopo l’uragano, e con Ernesto al largo della Florida, la ricostruzione di New Orleans è già stata paragonata a quella di Baghdad: solo il 60% della città ha l’elettricità che funziona, metà degli ospedali e tre quarti degli asili rimangono chiusi. Una commissione di deputati democratici ha identificato casi di «spreco, cattiva gestione, abuso» pari a 8.75 miliardi di dollari in contratti e, mentre il crimine continua a salire (al punto da esigere l’intervento della guardia nazionale, qualche settimana fa), solo metà degli abitanti sono tornati in città. Un articolo del New York Times di domenica seguiva il percorso del cadavere di un uomo rimasto per giorni a marcire per le strade di New Orleans. Un anno dopo, il suo corpo giace in una bara di metallo in un magazzino ai margini della downtown. Nessuno lo ha mai identificato, e nessuno lo ha mai seppellito. Come lui altri 85. Nel suo ultimo editoriale per il NYTimes, Frank Rich ha definito Katrina, «un Iraq, ma con un cast tutto americano» e ricordato come, allo spettacolo inguardabile di New Orleans, persino i giornalisti avessero dato voce alla loro indignazione. E, in effetti, la disastrosa gestione dell’uragano si è rivelata per l’amministrazione un problema molto più grosso della disastrosa gestione dell’Iraq. “È stato un evento che ha alterato la percezione del presidente. Prima si erano messi in dubbio la sua ideologia e persino la sua intelligenza. Ma la gente comune raramente metteva in dubbio la sua competenza o la sua empatia», ha detto il senatore democratico Charles Schumer. In effetti da lì i suoi dati di gradimento non si sono mai ripresi. Oggi, il 51% degli americani pensa che l’amministrazione abbia fatto un pessimo lavoro nell’assistere le vittime dell’uragano. 12 mesi fa erano il 48%. E, mentre si appresta a partire per New Orleans, c’è da chiedersi se Bush stesso pensi veramente di poter ammortizzare questo Iraq di casa sua con un’altra apparizione ipercoreografata e tutta improntata di fiction.