Karzai: Usa, che fallimenti. Il digiuno di Saddam

Hamid Karzai sente quasi sfuggirgli dalle mani lo stato che l’occidente gli aveva affidato dopo l’invasione statunitense dell’ottobre 2001 e alla cui guida, tre anni dopo, era stato confermato dal voto popolare. In Afghanistan la situazione della sicurezza, alla vigilia dell’espansione dell’intervento della Nato al sud e all’est del paese, si deteriora giorno dopo giorno.
Così ieri, nelle ore in cui per la Coalizione sono arrivate due brutte notizie (l’uccisione di quattro marines e un nuovo video di al Qaeda che incita al jihad contro gli «invasori stranieri») il presidente afghano se l’è presa con le tattiche fallimentari dei suoi stessi sponsor e con il confinante Pakistan: senza mai citarlo per nome, ha di fatto invitato le truppe occidentali a sconfinare, andando alla caccia di taleban e rimasugli di al Qaeda a Peshawar e dintorni.
«Sono convinto che dobbiamo impegnarci a disarmare il terrorismo bloccando le sue fonti di finanziamento, addestramento e le sue motivazioni», ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa l’uomo che i suoi detrattori definiscono «il sindaco di Kabul» a causa dello scarso controllo esercitato sulla maggior parte delle province afghane al di là della capitale. Poi ha messo esplicitamente sotto accusa i metodi utilizzati finora dalle truppe statunitensi di Enduring freedom: «Non possiamo accettare che nel corso di questi combattimenti – ha detto – muoiano degli afghani. Nelle ultime tre-quattro settimane sono stati uccisi tra i 500 e i 600 afghani. Anche se erano taleban, si tratta sempre di figli di questa terra». Il presidente ha lamentato di non aver ottenuto dall’occidente l’aiuto necessario a rafforzare le forze di polizia, l’esercito e la pubblica amministrazione.
Oltre che i suoi tradizionali sostenitori, Karzai ha attaccato il Pakistan, a cui imputa la responsabilità di fomentare la guerriglia taleban che ha le sue roccaforti nelle cosiddette «aree tribali», le province del Pakistan occidentale semiautonome da Islamabad. «Non c’è dubbio che è soprattutto grazie a fattori stranieri che aumentano il terrorismo e gli attacchi coordinati e pianificati». «Questo vuol dire – ha concluso minaccioso – che il mondo deve dirigersi verso i luoghi in cui il terrorismo è alimentato, dove gli si forniscono soldi e ideologia. Questa guerra al terrorismo non dovrebbe limitarsi all’Afghanistan». Da mesi i rapporti tra Kabul e Islamabad sono tesi, ma mai Karzai aveva attaccato così frontalmente il governo di Pervez Musharraf.
Di fatto le truppe occidentali sono già al confine tra i due stati e con l’operazione «Mountain thrust» la scorsa settimana è iniziata la maggiore offensiva messa in atto contro i taleban dalla caduta del regime degli studenti coranici: 10.000 soldati – statunitensi, britannici, canadesi e afghani – a caccia di taleban. E ieri nel corso di una battaglia nella provincia del Nuristan (nord-est) sono rimasti uccisi quattro marines statunitensi.
Una situazione caotica che potrebbe galvanizzare la guerriglia islamista: lo sa bene Ayman al Zawahri, che ieri, attraverso un sito internet islamista, ha incitato al jihad. Tutti gli afghani devono unirsi contro «le forze infedeli che hanno invaso una terra islamica», ha denunciato in un video di tre minuti l’ideologo di Al Qaeda. «I fratelli musulmani dell’Afghanistan, soprattutto a Kabul, devono unirsi ai mujahideen in modo da espellere gli invasori».
A partire da fine luglio la Nato espanderà la propria presenza militare proprio alle aree meridionali e orientali dell’Afghanistan. Nell’ambito della missione Isaf (questo il nome della forza multinazionale dell’Alleanza atlantica) i soldati italiani rimarranno a Herat e Kabul. Lo ha ribadito ieri il sottosegretario agli esteri Gianni Vernetti, in visita a Kabul. «Noi non abbandoneremo l’Afghanistan – ha aggiunto Vernetti – e confermiamo il nostro impegno sul terreno sia civile che militare. Consolideremo e intensificheremo la nostra presenza là dove già siamo presenti, cioè a Kabul e a Herat». Il Segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, si è detto «felice» di una possibile disponibilità del governo italiano a rafforzare la sua presenza a Kabul. L’ex presidente iracheno Saddam Hussein ha cominciato uno sciopero della fame, nel carcere statunitense in cui si trova a Baghdad, per protestare contro l’uccisione di uno dei suoi principali difensori. L’avvocato Khamis al-Obaidi è stato ucciso martedì a Baghdad dopo essere stato prelevato da casa da uomini che indossavano le uniformi della polizia, e il suo cadavere è stato poi buttato sotto un cartello che celebra un leader religioso shiita, Baqr al Sadr, che era stato ucciso durante il regime di Saddam. Il capo del suo team legale, l’avvocato Khalil al Dulaimi, ha accusato milizie sciite filogovernative dell’uccisione del collega (al Obaidi era il suo vice), e ieri ha annunciato che il collegio di difesa sta considerando l’ipotesi di boicottare la prossima sessione del processo, prevista per il 10 luglio.
Ieri intanto la polizia irachena ha liberato una quarantina di operai che erano stati rapiti il giorno prima in una zona a nord di Baghdad – ne mancano una trentina all’appello.