Membri dell’attuale parlamento di Kabul accusati di torture, massacri e stupri di massa. Crimini di guerra che sarebbero stati commessi durante un lungo e buio periodo della storia dell’Afghanistan, quello che va dalla jihad anticomunista dei mujahedeen alla caduta del regime dei taleban, dal 1978 al 2001. Circostanze raccolte in un rapporto delle Nazioni unite che il governo del presidente Hamid Karzai tiene chiuso in un cassetto da un anno e mezzo. La vicenda del documento di 220 pagine redatto dall’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani e «dimenticato» dalla nuova democrazia afghana è stata portata a galla ieri dal quotidiano britannico Guardian che ne ha ottenuta una copia. Fonti interne alle Nazioni unite impegnate nel paese che fu dei taleban hanno confermato al manifesto che il testo potrebbe rappresentare «motivo di grande imbarazzo» per l’esecutivo e l’assemblea che i governi occidentali si sono impegnati a sostenere con programmi di aiuti economici e contribuendo a una missione militare (l’Isaf, a cui partecipano anche soldati italiani) in espansione che dovrebbe servire a rafforzare le istituzioni dello stato nato sulle ceneri dell’autocrazia messa in piedi dagli studenti coranici e spazzata via dall’invasione statunitense del 2001. Il rapporto dell’Onu – consegnato alle autorità afghane nel gennaio 2005 – cita fatti e circostanze (i crimini commessi da taleban, comunisti e mujahedeen nel corso di oltre vent’anni di guerre) già noti al popolo afghano che ne ha subìto gli effetti. Il suo scopo è però quello di portare davanti alla giustizia i responsabili di crimini contro l’umanità.
Gente come come Abdul Rasool Sayyaf, che all’epoca del massacro di 900 sciiti avvenuto nel 1993 a Kabul, secondo il rapporto Onu, ordinò ai suoi soldati: «Non lasciatene vivo nessuno. Uccideteli tutti!». Sayyaf, che guidava l’Ittihad-i-Islami, il partito che costituì il principale punto di riferimento di Osama bin Laden nel corso della sua permanenza nel paese, oggi comanda una nuova formazione, Tanzim-e Dahwat-e Islami-ye Afghanistan, un raggruppamento politico che sostiene Karzai. In vista del clamore che potrebbe essere suscitato dall’occultamento del rapporto, ieri l’Alto commissariato per i diritti umani ha precisato con una nota di «continuare a sostenere il governo afghano» e che il suo documento vuole essere un contributo nella direzione del suo rafforzamento. «Tuttavia – precisa la nota – la catena di violazioni dei diritti umani non è stata ancora spezzata e alcuni tra i principali responsabili continuano ad avere influenza e autorità».
La «timidezza» del Presidente nei confronti di ex massacratori e signori della guerra negli ultimi giorni ha irritato anche i governi europei. In particolare la decisione di Karzai di far fronte ai recenti disordini anti-occidentali inserendo nei massimi ranghi della polizia 13 comandanti con legami con i trafficanti di droga e le milizie non è stata digerita dalle cancellerie che dopo la cacciata dei taleban hanno sempre sostenuto l’uomo definito dai suoi detrattori «il sindaco di Kabul» a causa dello scarso controllo sul resto del paese. «Noi crediamo nel rafforzamento dei servizi segreti, della polizia, dell’esercito. Coinvolgere criminali nuovi e vecchi nella gestione del potere non gioverà all’Afghanistan», ci dice un funzionario dell’Onu da Kabul chiedendo di rimanere anonimo.
«Le Nazioni unite si sono lasciate intimidire, hanno paura di arrecare danno al governo a causa di queste persone», ha raccontato al Guardian Sam Zarifi di Human rights watch, l’organizzazione che ha pubblicato rapporti in cui anch’essa metteva sotto accusa la cooptazione di ex criminali nella gestione del potere a Kabul. Un funzionario europeo con il quotidiano londinese non ha usato mezzi termini riferendosi alla designazione dei 13 comandanti di polizia: «Per noi è inaccettabile. Se lasciamo impuniti personaggi che hanno commesso crimini contro i diritti umani la gente inizierà a chiedersi che cosa ci facciamo qui». In ballo ci sono i circa 12 miliardi di dollari che la comunità internazionale si è impegnata a investire per aiutare l’Afghanistan. Un paese dove – nel sud e nell’est, le zone dove la Nato a luglio porterà i suoi militari – gli statunitensi continuano a combattere quotidianamente contro i taleban. I morti dell’ultima offensiva Usa nelle province di Kandahar e Uruzgan sono 27, tutti taleban secondo quanto riferito ieri da un comunicato del Pentagono.