Kabul, leggi segrete contro Rahmatullah

La tv è fissa dal mattino su RaiNews24 nelle case degli italiani della capitale afghana. Seguire in diretta il dibattito parlamentare, cosa che forse a casa fanno in pochi oltre ai cronisti parlamentari, è in questo momento quasi una necessità vitale dopo che, tra la vicenda di Mastrogiacomo e quella di Emergency, l’Italia è una delle notizie del giorno in Afghanistan. Qualcuno, nella piccola comunità di connazionali, non nasconde qualche timore. Cellulari accesi e attenzione alle notizie. L’autista che ci ha portato al bazar, quando vede che non torniamo, si agita nervoso. E una semplice contrattazione per comprare una mazza da cricket, gioco popolare anche qui, diventa motivo di preoccupazione. Ma al bazar scherzano. «Quattrocento afganis? – sibila il venditore – Voi italiani siete proprio tirchi!». Una battuta che spezza la tensione e gli fa guadagnare quel 20% in più che a ogni straniero tocca sborsare.
Fuor di metafora i motivi di preoccupazione non mancano anche se la visita al bazar rincuora. C’é grande attivita’ tra le bancarelle nella parte della città sul fiume. Negozi che traboccano di roba e gente che va, viene e compra. La guerra sembra lontana e l’amico afghano che ci accompagna ce lo fa notare: «Lo vedete? Un po’ di pace e la vita riprende. La gente non ne ha più voglia della guerra».
Già, la gente. Oggi il bollettino dei morti recita che 21 talebani, o 35 per altre fonti, sono stati uccisi nella provincia di Zabul, individuati dalla coalizione a guida americana. I soldati dell’Isaf uccisi ieri sono invece due e un’altro se n’è andato mercoledi nella provincia di Kunar, a causa di ferite riportate al di fuori dei combattimenti, mentre sempre mercoledi a Kandahar sono caduti due soldati canadesi (altri sei erano morti tre giorni fa). E tardivamente l’esercito americano ha aperto un’inchiesta sulla morte di almeno otto civili negli incidenti verificatisi nell’est a inizio marzo. La guerra.
Lontani dal bazar e dai bollettini bellici, nel tentativo di capire la sorte di Rahmatullah Hanefi, il mediatore prestato da Emergency e ripagato con l’arresto, tempestiamo di domande giuristi ed avvocati. E in questa ricerca, sorprendentemente, scopriamo che Hanefi non ha un avvocato. Non solo perché i servizi non lo vorrebbero ma anche perché, a quanto ne sappiamo, nessun legale afghano è stato contattato da Emergency. Speriamo di sbagliarci anche perché solo un avvocato, e un buon avvocato, potrebbe almeno tentare una denuncia formale. Pur se i servizi, come ci hanno spiegato, godono di una legge ad hoc, la magistratura ordinaria sarebbe in qualche modo sollecitata. Probabilmente si è mossa anche la nostra ambasciata ma, ufficialmente, le bocche sono cucite.
Come più esperti di legge ci hanno confermato, i servizi afghani sono regolati da un decreto presidenziale segreto che dà loro enormi poteri. Se Rahmatullah sia in arresto, dove sia e cosa sarà di lui, non si sa e non si può sapere. E quel che è peggio, ci conferma una voce che preferisce l’anonimato, molti uomini dei servizi se non la maggior parte provengono dal Khad, la micidiale polizia segreta dell’ex regime filosovietico. Un’altra fonte dice che Hanefi è sicuramente a Kabul. A Lashkargah nemmeno i servizi afgani hanno controllo. Voci. Le certezze ce le dice il giurista egiziano Ahmed Tawfik, consigliere legislativo per la riforma. «Attualmente vige un codice ad interim di 98 articoli in attesa del nuovo che ne avrà circa 170. Ma anche ora ci sono garanzie. Il problema è che i servizi ne sono fuori». Ci fa capire Tawfik che un conto sono le leggi ordinarie (come quella sul terrorismo), un conto le scelte poltiche, sotto cui ricade il decreto per i servizi. Materia ingarbugliata. Sulla vicenda Hanefi interviene anche l’associazione afghana Rawa e la sua controparte italiana (Cisda), avvertendo che l’attacco a Emergency «non vale solo per Emergency. E’ un messaggio pericolosissimo per tutte le associazioni e le ong presenti sul territorio afghano. E poiché i nemici dell’Afghanistan variano come le stagioni, sarà difficile seguire il pensiero dei governi su questa strada…».
Dall’Italia arriva anche qui la notizia che la giunta della Federazione della stampa, il sindacato dei giornalisti italiani, ha deciso un contributo straordinario in favore delle famiglie del giornalista-interprete Adjmal Naqshbandi e dell’autista di Daniele Mastrogiacomo, Sayed Agha, assassinati dai rapitori dell’inviato italiano». La giunta «ha anche deciso di sostenere le organizzazioni sindacali dei giornalisti dell’Afghanistan che in questi giorni hanno duramente protestato contro i due delitti». Sono 12mila euro. Davvero una buona idea.

Lettera22