Giorno dopo giorno, in Afghanistan gli attacchi della guerriglia si fanno più spregiudicati e, soprattutto, ormai colpiscono in ogni parte del paese, non solo nelle sue regioni orientali e meridionali tradizionalmente roccaforti dei taliban. Nella capitale Kabul ieri è stato preso di mira il convoglio dell’ambasciatore statunitense, Ronald Neumann, che in quel momento non era a bordo della sua auto. La tattica utilizzata è stata quella dell’attentato suicida, il primo nella capitale dall’inizio dell’anno: i taliban ne hanno promessi centinaia, contro le truppe occupanti, per la cosiddetta «offensiva di primavera».
L’attentatore, secondo la ricostruzione fatta da un reporter dell’Associated press presente sul posto, si è scagliato contro il convoglio statunitebse nella periferia orientale della città, sulla strada che conduce a Jalalabad. È riuscito ad inserirsi con un’utilitaria imbottita d’esplosivo nel mezzo del corteo di auto composto da tre Chevrolet blindate, senza targa e dotate di jammer, apparecchiature in grado di mettere fuori uso eventuali ordigni radiocomandati, ma che nulla possono contro le bombe umane.
A rimetterci la vita, come accade spesso in questi attentati, è stato – oltre all’attentatore – un ragazzino afghano, un 14enne. Cinque i feriti americani, secondo quanto riferito dalla sede diplomatica Usa a Kabul. Sarebbero tutti uomini della scorta e uno di loro è in gravi condizioni, ha fatto sapere il portavoce Usa Tom Collins.
I taliban hanno rivendicato l’attacco con le consuete telefonate alle agenzie di stampa internazionali. Il mullah Dadullah – considerato il principale comandante militare degli studenti coranici – ha contattato la britannica Reuters, per assumersi la responsabilità dell’attacco e minacciarne altri.
A fine febbraio, 20 persone erano morte in un attacco suicida contro il quartier generale Usa di Bagram la base, situata 60 chilometri a Nord di Kabul, dove negli ultimi cinque anni di «guerra al terrorismo» decine di prigionieri musulmani sono stati interrogati e – accusano le organizzazioni di difesa dei diritti dell’uomo – torturati prima di essere spediti nel carcere di Guantanamo. L’attacco del mese scorso destò particolare scalpore, perché avvenne mentre a Bagram era in visita il vicepresidente americano Dick Cheney.
Nel corso del 2006 si è verificata una vera e propria «irachizzazione» della guerriglia afghana, un’escalation delle azioni armate – tra cui 139 attacchi suicidi – la maggior parte delle quali hanno avuto luogo nel sud del paese, nelle province nelle quali il contingente dell’Isaf (a guida Nato) ha recentemente esteso le sue operazioni, in precedenza limitate alla capitale e ai distretti settentrionali. Quest’anno – secondo i dati forniti ieri dal maggiore William Mitchell, portavoce militare statunitense – gli attentati suicidi sono stati finora 28.